Dopo il grasso carnevale arrivavano istantaneamente i quaranta giorni
di digiuni e di mortificazioni.
Insieme con le donne vestite di nero, appena segnate da macchie grige
di cenere sui capelli, inevitabilmente il giorno delle Ceneri apparivano
gli emblemi della Quaresima. Si facevano penzolare dai balconi delle pupattole
di stoffa (Quèrèntèn) che avevano sotto
le nere vesti grosse patate in cui erano state conficcate penne di gallina
che indicavano le settimane quaresimali. Ogni sabato si toglieva una penna
fino al giorno precedente la Pasqua. Spesso faceva coppia con la "Quèrèntèn''
un pupazzo denominato "Pèsquèrèll"
e si diceva:
"Quèrèntèn muss tort
ne te mègnann cchiù recott
sennò vé Pèsquèrèll
e te dàll cù mèzzèrell"
Il significato del "detto" indicava l'aspetto negativo della
Quaresima, l'interpretazione falsata della penitenza nell'arco quaresimale,
da vivere invece in uno spirito di autentica conversione interiore, mostrando
"il viso sereno e il capo profumato", come riporta il Vangelo.
L'astinenza dalle carni in questo periodo mortificava il corpo per prepararlo
alla Resurrezione. Per altro la sobrietà legata alla genuinità
del cibo era l'unico farmaco che curava la persona, unità inscindibile
di anima e corpo. Oggi le diete, a base di prodotti sofisticati, dati i
noti inquinamenti ambientali, hanno pure finalità edonistiche.
Ai missionari era affidato il compito della predicazione per qualificare
ulteriormente l'impegno quaresimale dei fedeli. Significative le vie crucis
per i giovani che si svolgevano nelle prime ore del pomeriggio. A tal proposito
si ricorda lo scalpore che suscitarono le prediche di alcuni missionari
per aver contribuito a far riappacificare definitivamente numerose donne,
spesso in discordia fra loro. Nella chiesa, gremita di fedeli, si videro
abbracci e pianti dirotti nella commozione generale. In molte occasioni
perfino i non "praticanti", attratti dal carisma di questi sacerdoti,
partecipavano alle funzioni liturgiche cingendosi il capo con una corona
di spine in segno di mortificazione.
Le croci sul muro della chiesa della Trinità sono il segno del
passaggio dei missionari dell'ordine di "S. Vincenzo de' Paoli".
A poca distanza dalla croce eretta nel 1913 all'inizio del viale alberato
che porta al convento, un'altra monumentale croce, progettata dal geometra
Pietro Giuliani, ci ricorda la venuta dei Padri Passionisti nel 1985 i quali
hanno ispirato il concittadino Luciano Pescatore ad entrare nella Congregazione
della Passione di N.S.G.C.
Al momento della benedizione delle palme si sollevavano il più
in alto possibile le fascine per ricevere "un'abbondante benedizione".
Poi con lo scambio del ramoscello d'olivo benedetto si faceva la pace dandosi
un bacio.
Il clima festoso e sereno della Domenica delle Palme lasciava il posto
a quelIo malinconico della Settimana Santa. Gli altari spogli e le effigi
sacre ricoperte di panni viola davano un'atmosfera altamente drammatica
col grano germogliato a forma di croce e con le chiese accorsate dai fedeli
per la visita ai sepolcri.
Per avvisare i fedeli dell'inizio delle funzioni religiose si usava la
"troccele" al posto delle campane che si consideravano
"legate" fino al sabato a mezzogiorno.
Riportiamoci intanto ai primi anni del 1900 con la descrizione del "Venerdì
Santo" fatta da M. Brancacci nel suo romanzo "Era degna di un
magistrato".
"...starsene in un seggiolone per otto mesi all'anno, il giorno
del Giovedì Santo Baldassarre Palazzo buttava le gambe dal letto
e a piedi nudi, misteriosamente guarito di tutti i suoi mali, in veste
rossa e corona di spine, impersonava la figura del Cristo nella rappresentazione
della Passione.
Si iniziava, nel paese, quella rappresentazione, partendo dal convento
dei cappuccini, distante dall'abitato poco più di un chilometro.
Durante la notte una statua dell'Addolorata era trasferita nel convento
della chiesa di Santa Maria in Silvis. Di là, nel pomeriggio del
giorno seguente, attraverso una strada corrente fra i seminativi, con gran
seguito di popolo e di clero, la statua dell'Addolorata veniva accompagnata
all'incontro col Figlio.
Cantavano le vecchie della processione:
"E oggi è Giuveddì Santo
la Madonna s'ha messo lu manto
nun aveva cu' chi ire:
"Sola sola agghio 'a partire".
Dagli sparsi casolari dell'agro, sino all'ultimo momento trattenute in
casa da polli, dal pane nel forno, dai figli, massaie trafelate sbucavano
dai viottoli in tempo per inginocchiarsi al passaggio della Vergine. Imbruniva.
Nell'uggia della giornata invariabilmente piovigginosa, le mantelline dei
fratelli delle Congreghe mettevano nell'aria una mestizia di antico mortorio.
Incedeva con la processione una malinconia di viatico, una contrizione di
preghiere estreme, un mistero di seppellimento.
Ravvolte nei fazzolettoni, e bene attente a sorvegliare il contegno delle
giovani, le vecchie della processione continuavano a cantare di Maria:
Ha 'ncuntrate a san Giuvanne:
"Uei Maria, perché piangi?"
(Questo discepolo che Gesù amava. L'arresto del Maestro, il processo,
la condanna: non si era accorto di niente).
"lo piango dal dolore
che ho perduto il mio Signore".
Intanto, nel paese, nei luoghi in precedenza fissati, zio Baldassarre
faceva le sue "cadute» (impressionanti), incontrava la Veronica
(un altro pezzo d'uomo in vesti femminili) quindi l'uomo di Cirene, che
per breve tratto lo avrebbe sollevato dal peso della croce.
Sul corso, gremiti, balconi e finestre accendevano le prime luci.
Eran lumi a gas, a petrolio. E lucerne, lanternine, candelotti, ceri:
tutta una luminaria da lampade votive.
Sulla soglia delle botteghe illuminate del pari, bottegai e avventori
formavano crocchio. Sin quando partendo da un iniziale brusio ecco una voce
dal fondo del corso: "Arriva, arriva».
Ormai al termine del suo viaggio, nel canto delle vecchie l'Addolorata
picchiava alla porta di Pilato.
Tutte tuppe... "Chi è 'lloche?"
"Songo 'a Vergine Maria"
"Mamma, mamma: 'n ti pozzo aprire,
che i giud' m'hanno legato".
Esecrazione.
Invettive all'indirizzo dei giudei. Da un pergamo improvvisato sotto
gli alberi del corso, il parroco di Santa Maria in Silvis faceva una predica.
Zio Baldassarre poteva deporre la croce e ristorarsi con un paio di bicchieri.
Faceva un certo effetto, su noi bimbi almeno, vedere Gesù Cristo
trincare. Ancora coronato di spine, poi. Ma, a quel punto, il dramma della
Passione già mostrava contorni sfumati. Prematura o no, si respirava
aria di Pasqua. Di ova colorate. Di dolci. Con zio Leopoldo curvo sui piedi
risanati di zio Baldassarre a proclamare: &laqno;Un mistero. Un mistero»,
la folla prendeva a sciamare.
E tutto si concludeva nel grido rivolto al Salvatore:
"Salva a me, salva a Te,
salva pure 'ufigghiu du' re".
Patriotticamente.
Dopo Baldassarre Palazzo, tra i tanti che si susseguirono, impersonò
Gesù portacroce V. De Simone, al quale in una caduta il Cireneo disse:
-Alzati! Corpo di Cristo! - Al che la risposta ...Mò me
pure èstim!..
Un altro personaggio continuava a cantare dietro la processione: ..Non
sono stato io l'ingrato... L'amico a fianco lo correggeva:-Devi dire:
"Sono stato io l'ingrato. Gesù mio perdon, pietà"...
- L'immediata replica - Mèh càj ccìs ij è
Gesùcrist !
Tutto ciò era sentito da buona parte del popolo come ricorrenza
religiosa legata a un ritualismo folkloristico. non a una ragione di conversione.
A Scrracapriola forse non vi fu mai o si perse nella notte dei tempi una
vera tradizione piena di significato, derivata dalle attività delle
confraternite come in altri paesi della Puglia.
Carducci Fortunato (Pèppèghèllon)
per molti anni ancora. in tunica rossa, scalzo e col viso coperto da un
cappuccio bianco, l'ultimo residuo dei Fratelli delle congreghe (ciocer),
suscitò la curiosità e il mistero specie nei bambini. Soltanto
nel 1967 fu sostituito, dal buon Fortunato D'Alessandro che, essendosi mostrato
a viso scoperto, sfaldò la tradizione dell'incappucciato di origine
medioevale.
l films americani e il "Gesù di Zeffirelli" diffusi
dai mass media hanno contribuito a rendere sempre più spettacolare
la Via Crucis vivente, ormai priva di ogni impronta locale:
Folgorato dall'esempio degli "lncatenati di Cascia" Michele
Caccavone con un gruppo di giovani cattolici ha continuato il percorso della
Passione (interrotto dalle varie stazioni declamate dai balconi) fin dentro
la chiesa di San Mercurio, dove su un palcoscenico allestito dietro l'altare
maggiore è stato "crocifisso".
Quest'anno la "Via crucis cittadina" ha la prerogativa della
preghiera scarna, semplice, che non dà spazio a nessuna forma di
spettacolo: mentre la sacra rappresentazione vivente, completa di tutti
i personaggi e diretta da F. D'Alessanclro coadiuvato da Wanda Palmieri,
interpreta con la solita mimica la condanna e la passione di Gesù,
impersonato dal devoto Caccavone messo in croce, questa volta coerentemente,
fuori dalla chiesa.
L'autorevole voce fuori campo di don Amedeo Cristino invita i fedeli
a partecipare all'evento con la preghiera.
C'era anche chi intrecciava con la paglia il simbolo del dolore: Infatti
fino al 1992 il pensionato D'Onofrio Ernesto, uno dei superstiti della civiltà
contadina, costruiva croci decorative con i culmi di grano e le donava ai
sacerdoti, conoscenti, perfino al mons. dott. Angelo Majo, arciprete del
duomo di Milano, che nel 1986 l'ha ringraziato con una commovente missiva.
Forte Romeo invece creava crocifissi di dimensioni e forme diverse con l'ottone:
Una sua opera fa mostra di sé nella parrocchia di S. Maria in Silvis.
La settimana santa volgeva al termine. Dalla penitenza si passava alla
gioia (Nel vocabolario dei cristiani non esiste la parola "morte",
la vita comincia con il concepimento e si completa attraverso il trapasso
nell'Eternità). Già dalla mattina del Sabato Santo nelle famiglie
c'era aria di festa. l bambini davanti alle chiese con l'uovo sodo nel panierino
di pasta di pane (Nell'uovo da sempre si è visto il simbolo della
vita) in mano erano in attesa dello scampanio delle campane. Finalmente
le campane a distesa segnavano il trionfo della Vita. Nel contempo in chiesa,
nelle case, nei negozi e per le strade si rumoreggiava con raganelle, martelletti
di legno, mazze e scope per cacciare il diavolo.
La devozione dei "carducci" al pranzo della
Domenica concludeva le tradizioni pasquali.
Nel periodo che seguiva la Pasqua i parroci benedicevano le abitazioni
dei propri parrocchiani. I chierichetti, dopo aver consegnato una porzione
di acqua santa contenuta in grosse brocche di terracotta (quèrtère)
ricevevano in dono delle uova fresche che venivano messe in un paniere.
Il Cristianesimo è "L'imitazione di Cristo", è
volontà di dedizione verso i fratelli nella continuità. Ciò
può avvenire soltanto se si è legati a Dio, altrimenti ogni
opera si riduce ad un attivismo filantropico miope e caduco.
Se ci fossero testimonianze (L'inferno è lastricato di buone intenzioni)
da parte dei cattolici che andassero al di là del folklore e del
ritualismo abitudinario e festaiolo, ogni giorno sarebbe Pasqua.
Ma la Speranza è nel carisma del giovane e dinamico don Amedeo
Cristino che, con padre Luigi Ciannilli e con don Adamo D'Adamo, sta inculcando
nel popolo serrano il germe di una Fede Adulta, base di ogni attività:
Il primo frutto è una "Misericordia d'Italia".
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