"La storia è l'arte che non rinnega la conoscenza dei fatti”. Bernard Berenson (1865 - 1959)
Storie per la Storia Serrana
7/16 LUGLlO 1647 REGNO Dl NAPOLI: «VIVA ‘O’RE ‘E SPAGNE, MORA ‘O MALGOVERNO».
ll trattato di Cateau-Cambrésis, stipulato il 2 aprile 1559 tra Francia ed lnghilterra ed il 3 aprile successivo tra Francia e Spagna, diede pace a lotte e guerre guerraggiate fra ingordi stranieri per il predominio su Stati e Staterelli d'Italia. Dal trattato, la Corona di Spagna si vide consacrato il diretto dominio sul Ducato di Milano, sui Regni di Napoli, di Sardregna, di Sicilia, sullo Stato dei Reali Presidi (Talamono, Orbetello, Port’Ercole, Porto Santo Stefano, Ansedonìa e Porto Langone, l'odierna Porto Azzurro) e indirettamente, guadagnò ancora “l’influenza” sulla politica dei Doria di Genova, dei Farnese di Parma-Piacenza, dei Medici di Toscana.
Pur con i dovuti dìstingui fra realtà e realtà, la dominazione spagnola in Italia, sugli Stati ad essa assoggettati, produsse una fase. di ristagno economico, di avvilimento delle coscienze. ll Regno di Napoli, del quale Serracapriola era parte, perse la floiridità marinara e commerciale; il territorio, vasto e variegato nella sua essenza, si ridusse, in buona parte, a latifondo signorile lasciato a bosco, oppure a pascolo; la vita culturale restò soffocata dall’intolleranza politìco-religiosa. Napoli, Sardegna e Sicilia vennero “affidate” ciascuna ad un Viceré, il Ducato di Milano ad un Governatore. Assai pesante, ovunque, l’imposizione fiscale non equamente distribuita sui sottoposti regnicoli: nobiltà e clero, in particolare, godevano di esenzioni e privilegi finalizzati alla loro fedeltà alla Corona iberica e la conseguente “tranquillità" gestionale delle sottoposte terre feudali che passavano di mano, da Signore a Signore di stemmati casati. Nel vivere quotidiano la nobiltà si modellava sull'esempio spagnolo negli atteggiamenti esteriori, nei costumi di vita, negli ozi, nel disprezzo per ogni attività manuale e produttiva. Il popolo basso ed oscuro, stremato dalla scarsa disponibilità di cibo, dalle carestie [1], decimato dalle malattie e dalle calamità, avvilito dall’obbedienza cieca ed assoluta ai “forti” del Regno ed al Baronaggio arrogante, ad essi reagiva con atti di banditismo e spinte eversive. Dopo quella di Palermo, importante l’insurrezione di Napoli (7/16 luglio 1647). Al grido di «Viva ‘o ‘re ‘e Spagne, mora ‘o malqorverno», la rivolta napoletana «affondava le sue radici in una condizione di profondissimo disagio, nel quale il fiscalismo non era che uno dei numerosi fattori che contribuirono ad ingigantire l‘esasperazione popolare».
Marcato come pazzo, il capopopolo Masaniello cadde tradito e colpito dagli stessi rivoltosi partenopei. La sua testa mozzata, celarta in un cappello, venne portata, in “visione”, allo spagnolo Rodrigo Pons de Léon, duca d’Arcos, Vicerè di Napoli, regista occulto del preordinato delitto.
La ghiotta notizia della morte di Masaniello venne lanciata tempestivamente a Filippo lV, regnante di Spagna, alle Udienze Provinciali, ai Baroni del Regno di Napoli e camminò, a grandi passi, ovunque; la stessa comunicazione giunse velocissima a Ferrante Francesco d’Avalos, Signore dell'acquistata Serracapriola [2] che, proprio nei giorni dell’insurrezione partenopea, stava “svernando” nella salubrità del suo feudo Serrano. Il 19 luglio 1647 da Serracapriola d’Ava|os scrisse al Viceré d’Arcos che l’appresa uccisione del «Picaro Tomas Anelo de Amalfi» e di alcuni suoi seguaci aveva suscitato in lui una gioia più grande «che se fosse resuscitato suo padre».
L'eliminazione di Masaniello, anziché spegnere, accelerò l’espandersi territoriale della rivolta che, all’indomani dell'uccisione del capopopolo, s’irradiò da Napoli in alcuni centri delle dodici Province del Reame: Terra di Lavoro, Principato Ultra, Principato Citra, Terra d'Otranto, Terra di Bari, Capitanata, Abruzzo Citra, Abruzzo Ultra, Contado di Molise, Basilicata, Calabria Citra e Calabria Ultra, evolvendo in reazione antifeudale, antinobiliare, antispagnola. Mentre Ferrante Francesco d'Avalos soggiornava in Serracapriola, vi giunsero dalla rivoltosa Lanciano, infeudata anch'essa al medesimo marchese, il Mastrogiurato e due rappresentanti della municipalità locale,- Ioro compito era chiedere al Marchese, vis - à - vis, l'autorizzazione a pubblicare il bando del viceré di Napoli sulla soppressione delle imposte. La missione dei tre Iancianesi irritò il d’Ava|os che non solo non li ammise all'udienza richiesta, ma li trattenne in Serracapriola in stato di detenzione dalla quale vennero liberati dietro esplicito ordine del viceré (Lettera da Napoli, 28 luglio 1647: duca d’Arcos a Marchese d’Ava|os).
La “voce" dell’insurrezione di Napoli, con la sua eco, contagiò i serrani; l'oscuro popolo, da anni, ingiuriato dalla politica vessatoria del feudatario - padrone, si radunò in piazza vibrando attrezzi di rivolta. Un sogno di vita migliore non costava nulla e, coraggiosamente pazza, Serracapriola si oppose al più forte...l!! Ridotto l'insorto paese a nuova ubbidienza, da Serracapriola d’Ava|os raggiunse la residenza di Vasto, luogo e simbolo del suo potere feudale, tenuta tranquilla e fedele dal barone Carlo Bassano (m. 1658) ed assoldarvi armati, anche di malaffare, pronti a difendere il suo dominio e tenere i vassalli nella «dovuta ubbidienza» (a disposizione del d’Ava|os si erano dichiarati anche i banditi al servizio del barone Innico de Palma di Giugliano).
La rivolta dei popolani regnicoli nata da una costola di Masaniello infiammò qua e là, superficiale ed episodica, il Contado di Molise. Si ribellò lsernia infeudata «fatalmente» a Diego d’Ava|os [3], fratello minore e successore feudale nel Marchesato del Vasto di quel Ferrante Francesco, prepotente Signore di Serracapriola, annoverato con il duca di Maddaloni ed il Conte di Conversano, fra i Baroni del Regno napoletano «più inclini alla violenza». Senza “b|andura" la punizione riservata da Diego d'Avalos alla città molisana che, nelle forze d’offesa vide anche la presenza del Principe Caracciolo di Avellino [4] e dei suoi scherani.
I primi momenti dell’assalto d’Ava|os alla città di Isernia sono narrati dal sacerdote cappuccino Andrea da SerracaprioIa [5], della Fraternità d’lsernia, in uno scritto inviato ad un confratello del Convento di Venafro, per il successivo inoltro al viceré di Napoli.
La sera del 3 settembre 1647 il frate serrano, in procinto di uscire da lsernia, scorse nei pressi dell'abitato «gran numero di gente» ed avvertì il fragore delle prime archibugiate da loro sparate. l| successivo giorno (4 settembre 1647) padre Andrea appurò che la «gente» avvistata nella precedente serata era formata «da cinque a settecento» persone, tutte di «malavita», che, nel loro agire repressivo, avevano incendiato «tutte le masserie» dell'hinterland isernino e «si apprestavano a distruggere i vigneti e minacciavano di mettere la città stessa a ferro e foco. Prego V.(ostra) S(ignoria)», scrive ancora frate Andrea al viceré di Napoli, «di adoperarsi a quell'opportuno rimedio che potrà... per la sua patria(!!), perché s’intende che se (le persone avvistate) potranno entrare nella città (che Dio non voglial), toglieranno le genti a pezzetti e metteranno foco a ogni cosa...».
La missiva di Andrea da Serracapriola venne tempestivamente recapitata al viceré di Napoli.
[1] Nella duplice veste di produttori e distributori di derrate agricole, i d’Avulso di Vasto rispondono alla domanda del mercato interno del Reame di Napoli con un’attenta politica agraria, integrando produttività e commercio favorito, quest’ultimo, dalla, posizione geografica del loro Stato. Serracapriola a Chieuti producono il frumento destinato ai mercati della Capitale. Alla “Serracapriola d’Avalos" attinge la “’ Vasto d’Avulso” che, il 17 agosto 1648, nel perdurare di una carestia che affligge il Regno di Napoli, vi invia Muzio Robbio per acquistarvi quattromila ducati di grano (800 ducati di pubblico peculio. 3200 presi a mutuo) e così sollevare «l’affamato popolo» istoniense
[2] Ferrante Francesco d’Avalos (nato nel 1601), figlio di Innico 3° d’Avalos, Gran Camerlengo del Regno di Napoli e Grande di Spagna, 6° marchese di Vasto… il 10 febbraio 1635 con rogito del notaio Pietro Oliva da Napoli, acquista dai Gonzaga la Terra di Serracapriola-Chieuti. Sposa Geronima Doria (nata nel 1612). Non ha eredi legittimi. Muore il 23 maggio 1665. E’ annoverato tra i Baroni «più inclini alla violenza» della Napoli spagnola, epoca in cui «i sogni proibiti» di libertà delle forze più creative e vive della società meridionale vengono puniti con una «crudeltà», a volte, più grande della morte. Sulla testa di Ferrante Francesco, il I8 ottobre 1647, Gennaro Annese, esponente dei “sollevati” antispagnoli di Napoli, «pone mille ducati di taglia».
[3] Diego d 'Avalos (m. 4 marzo 1697), figlio di Innico 3° d ‘Avalos, e tristemente noto ai suoi vassalli per i «delitti enormi» commessi; gli isernini dichiarano che ha «violentato un figlio naturale del barone d’Afflitto, della Terra di Macchia» e fatto decapitare il duca Carlo Regina. Nell'anno 1684 il marchese del Carpio lo accusa di proteggere noti banditi delle terre abruzzesi.
"Segretario Maggiore ” di Diego d'Avalos è Giovanni Palma da San Giovanni Rotondo, nominato tale il 9 ottobre 1673; alla morte gli succede nell’incarico iI figlio Tommaso Palma, nato anch'egli in San Giovanni Rotondo che muore in Vasto il 26 gentiaio 1704.
[4] Il 25 novembre 1620 l’Università di Vasto delibera la concessione di mille ducati a favore di Francesca Maria d’Ava|os. figlia di Innico 3° d'Avalos, sorella di Ferrante Francesco d D’Avalos‘ e di Diego d 'Avalos, per il suo matrimonio con Marino 2° Caracciolo, Principe di Avellino (m. 1630) . Dal matrimonio Caracciolo - d ‘Avalos nasce Francesco Marino Caracciolo (29 gennaio 1631) che, con i suoi scherani, prende parte all’attacco armato contro Isernia, ribellatasi a suo zio Diego d'Avalos.
Il 24 dicembre 1630 Francesca Maria d 'Avalos, vedova del principe Caracciolo (m. 4 novembre 1630) in avanzato stato di gravidanza, parte da Avellino per Ancona. Da lì prosegue, con galee veneziane, alla volta di Trieste. In itinere la d'Avalos fa tappa a Mirabello (Eclano). Ariano (Irpino), Bovino, Foggia. Torremaggiore, Serracapriola, Termoli, Vasto, Lanciano, Ortona, Pescara, Atri, Giulianova, Grottammare, Fermo, Loreto, Ancona. '
[5] Per Andrea da Serracapriola, sacerdote cappuccino scomparso nel paese natio il 2 maggio 1679, cfr. Stanislao Ricci: "Piccole storie per la storia serrana". Sta ne: “La Portella" n. 138 del 28 febbraio 20/5 - pagina 34.
2 MARZO 1793 - SERRACAPRIOLA
Muore padre Stanislao da Serracapriola, Felice Samuele al fonte battesimale. Alla scomparsa ha 68 anni di età e 52 di vita religiosa (vestizione 16.12.1740 - professione 16.12.1741).
Compagno di studi di padre Giacinto da Serracapriola (professione ottobre 1738, noviziato in San Giovanni Rotondo), fra Stanislao è Guardiano del “Convento - Studentato" di Serracapriola nel 1789 e Definitore della Provincia Religiosa di Sant’Angelo: negli anni 1787 (Capitolo di Monte Sant'Angelo, Ministro eletto Sante da Monte Sant'Angelo) e 1791 (Capitolo di Foggia, Licenza
Regia di Ferdinando IV di Napoli datata 14.2.1790, Provinciale scrutinato, Francesco Antonio da San Bartolomeo in Galdo).
Lettore nel Convento di Torremaggiore, con esposto dell'11 settembre 1767 firmato da Ferdinando da Torremaggiore, predicatore cappuccino, padre Stanislao viene “segna|ato" al Definitorio Generale dell'Ordine per la “ba|danza" usata verso i sacerdoti della locale fraternità, accusa rigettata dal cappuccino serrano con lettera del 26 settembre 1767 indirizzata
al Generale dell'Ordine e partecipata al supremo Definitorio di Roma.
I vertici monastici tornano ad “occuparsi” di padre Stanislao da Serracapriola nell'anno 1779 [1], Erardo da Radkersburg, ordinis minorum S. Francisci Capuccinorum minister generalis, (1775 - 1782 e 1782 - 1789), «in visitatione» della Provincia di sant'An’gelo, ne sanziona l'operato con il “Decretum de religiosis vitiosis a superioratu excludendis", appresso riportato
integralmente nella traduzione dal latino di Elvira de Felice.
Decreto sui religiosi viziosi da escludere dal superiorato.
Nel nome del Signore. Amen
Il dovere pastorale chiede a noi di vegliare attentamente, affinché quei religiosi che sono viziosi o che ormai avanzati nel loro compito, si comportarono male, non siano promossi ad un incarico superiore. Perciò, poiché, durante la visita di questa nostra provincia di Sant'Angelo, giunsero a noi parecchie e di non poco valore lamentele contro il padre Bonaventura da Francavilla e padre Stanislao da Serra, i quali entrambi ricoprivano il ruolo di guardiano, di essersi comportati in maniera pessima nel proprio incarico e di non amare ardentemente non solo la regolare osservanza, rispettivamente nei propri conventi, ma di aver trattato male i fratelli loro sottoposti, anzi di aver scandalizzato con una irriverente conversazione i frati ed i secolari e
poiché abbiamo trovato le lamentele, inviate a noi, vere e non fittizie, escludiamo quelli, quindi padre Bonaventura da Francavilla, appunto e padre Stanislao da Serra per preamboli e altri motivi noti a noi, non solo da ogni ufficio di superiorato, ma anche dalla clausola di confessioni secolari cosicché, senza una speciale nostra licenza o dei nostri successori, non possono essere promossi ad alcun grado di superiore o essere adibiti ad ascoltare confessioni secolari.
E cosi proibiamo e stabiliamo, senza veti di qualsivoglia.
Datato Foggia 11 gennaio 1779
Fr. Erardo da Radkersburg, ministro generale .
P. S. Noi ci rimettiamo al giudizio del reverendo padre provinciale per ciò che concerne padre Stanislao da Serra, cosicché possa concedere allo stesso la riserva delle confessioni secolari, se avrà giudicato in tal senso nel Signore, ma di non promuovere lo stesso ad un ufficio superiore.
Fr. Erardo da Radkersburg... (omissis)
[1] Padri eletti ai vertici della Provincia di Sant'Angelo nel Capitolo celebrato in Foggia l'8 gennaio 1779: ministro, Evangelista da San Marco La Catola; Definitori: Bernardo da Troia, Sante da Monte Sant'Angelo, Serafino da Cardito, Fortunato da Serracapriola (Guardiano del Monastero natio).
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