La ricostruzione di un manufatto architettonico, ancorché carico di valori simbolici apparentemente già definiti ed immutabili, non è atto automatico, svolto senza il concorso della coscienza e della volontà.
   La cultura occidentale ha abbandonato, fin dalla sua nascita nel VI secolo a. C sulle sponde dell'Asia Minore, qualsiasi visione mitopoietica della realtà fondata su un esaustivo momento creativo originario, all'interno del quale ogni cosa assumerebbe un nome e, pertanto, una identità e un ruolo in una tranquillizzante concezione escatologica della storia.
   Da allora in poi l'uomo occidentale si è fatto carico di un nuovo atteggiamento spirituale, caratterizzato dalla liberta di interrogare e interpretare il mondo e del conseguente doloroso diritto di esitare tra una spiegazione scientifica del mondo e l'altra.
   Dal lungo percorso di questo atteggiamento spirituale emerge un'unica certezza: la mutevole concomitanza, nel farsi della realtà, di ordine e caos, di causalità e di casualità, in una continua evoluzione, trasformazione e sostituzione di valori fondanti.
   In tale logica la storia non si ripete.
   Pertanto la riproposizione acritica di forme e valori del tutto o in parte anacronistici, se non addirittura nati già arbitrari sul corpo oggi monco che la storia ci ha dolorosamente lasciato, costituisce atto rinunciatario.
   Occorre invece penetrare costruttivamente il mondo fenomenico sul quale si è deciso di intervenire, fino alla sua fluttuante struttura profonda, e, dopo averne carpito l'intima essenza, riemergerne con segni capaci di vecchie e nuove valenze simboliche collettive.
   Occorre in sintesi riprendere il sottile filo rosso interrotto della storia del monumento, con la ferma volontà di riannodarlo, e creare una nuova realtà.
   Tale procedimento comporta la consapevolezza che sul monumento si interviene come su corpo vivo al quale dare nuova linfa simbolica.
   L'esito di questo viaggio all'interno del monumento è un oggetto che da un lato ripropone il preesistente torrino dell'orologio, collegato in maniera visivamente più organica e discreta al sottostante portale ottocentesco, e, dall'altro, evolve verso l'immagine di una torre civica campanaria, costruita intorno alla storica campana di San Leucio.
   L'esplosione della torre nei suoi elementi costitutivi, ricondotti a segni elementari dotati, ognuno di per sé, di propria valenza simbolica, spingerà il fruitore collettivo, come è giusto che sia, ad individuare, giorno dopo giorno, sempre nuovi significati dell'oggetto.
   Il "costruire", e a maggior ragione il "ricostruire", non è un atto monocratico ed unilaterale, in sé concluso con la tranquillizzante creazione, o ri-creazione, di un oggetto univocamente definito da un nome, un'identità e un significato. La storia, tutto sommato, è un'azione collettiva mossa dalla continua rielaborazione di valori.
   La sintesi e l'oggetto che ne scaturisce è un esploso di elementi simbolici che organicamente disposti propongono la torre con orologio. Più precisamente quest'ultima si comporrà di tre quadranti con orologio a lancette e meccanismo elettronico che farà capo ad una centralina programmabile, mentre gli altri elementi costitutivi della torre saranno realizzati usando ferro, ottone, bronzo e rame tutti elementi che ben si integrano con il contesto. Inoltre si è prenderà in considerazione anche l'effetto notturno, che tramite un appropriato gioco di luci ed ombre renderà la torre altrettanto riconoscibile e visibile anche dopo il crepuscolo.

I TECNICI      
(arch. Lucio Rutica - arch. Enrico Valente)