Mentre il mattone di argilla cruda essiccato al sole ebbe origini antichissime,
quello cotto in fornace comparve nell'età fra Cesare e Augusto, ma
solo nella tarda epoca imperiale conobbe il suo definitivo trionfo. Sulla
maggior parte dei mattoni romani venivano impressi dei bolli che indicavano
la cava d'argilla (ex praediis), la fabbrica (ex figulinis), il nome del
capo officina.
Le cave d'argilla, la contrada "Fornaci", i coppi (pince) e
i mattoni fatti a mano con cui sono state costruite le case "Dint'à
Tèrre e For'è Porte", sono i testimoni tanto silenziosi
quanto eloquenti del lavoro dei mattonai serrani attraverso i secoli. Ancora
oggi qualche anziano muratore, ristrutturando vecchie case, sa distinguere
i mattoni della fornace di De Rensis da quelli della fornace di Giuseppe Tronco: ultimi mattonai, dopo Romualdo Saletti e Dante Merigioli, a rifornire i cantieri edili del posto e di paesi limitrofi.
A Bivento l'enorme rudere di una fornace ci ricorda l'attività
di una intera generazione di mattonai, dal capostipite a Michele de Rensis,
al figlio Fortunato e al nipote Guglielmo che ci descrive la tecnica di
costruzione del mattone.
A differenza dei vasai che usavano un'argilla bluastra, più raffinata,
"u tèssòne", i mattonai ne cavavano
un'altra grezza-sabbiosa. Si trasportava con le carriole su uno spiazzo
ove si lasciava asciugare al sole. Dopo qualche giorno i lavoranti "chi cozze di zèppune" la frantumavano, la portavano in una grossa fossa "u chèmine" dove restava in
ammollo con l'acqua di due pozzi (ricca di ferro); trasportata sul piazzale
"aire" l'argilla veniva impastata dagli apprendisti
a piedi scalzi. La prima difficoltà del lavoro consisteva nel trasportare
la materia lavorata sul banco> e introdurne la giusta quantità nelle forme. Era necessaria accortezza e buona conoscenza del mestiere, derivata da una lunga esperienza. Le forme si cospargevano di sabbia per non far
aderire la materia ai lati della forma. Appena pronta, l'argilla si faceva uscire dalla forma. Tolte le sbavature con un coltello di legno "stecche"
il mattone crudo si faceva essiccare al sole. Questo era un lavoro svolto
con continuità perché l'argilla non doveva sostare molto nella
forma: appena introdotta, veniva subito tolta. I mattoni si lasciavano asciugare
al sole per due o tre giorni in uno spazio cosparso di sabbia farinosa.
Bene asciutti si sistemavano nella fornace accatastati "è ricce", a circa 3 o 4 centimetri di distanza tra una fila e
l'altra, in modo che il calore potesse circolare. Nella fornace di De
Rensis Fortunato &figli venivano inseriti 42.000 mattoni. In cima
si chiudevano i "ricce" con mattoni disposti a spina
di pesce "a ncuccètture". Il carico e scarico
si effettuava da un'apertura chiamata "a purtélle"
che si trovava dalla parte opposta del "cùpille",
la piccola bocca della forance dove si alimentava il fuoco. Quando "ce
mmennéve fòche", ininterrottamente per 30 ore
circa, il forno inghiottiva voracemente manciate e manciate di combustibile.
Per ogni cottura bisognava trasportare 50 carrettoni (chèrrettune)
di paglia. "A fuchéte" finiva nel momento
in cui le fiamme assumevano un colore bluastro. Era il segno che i mattoni
erano cotti. Il materiale restava a riposo per il raffreddamento graduale
dieci o quindici giorni.
Poi arrivavano i carrettieri (trèinere), caricavano
sui carretti il >prodotto finito e lo trasportavano ai cantieri edili del paese ed anche "fòre tèrre". La richiesta
era talmente alta che il materiale non bastava mai. Venivano prodotti "mètunacce",
"sbrigliòzze", quadroni per pavimento (cotto),
mattoni "Santa Croce" (si usavano per coprire l'intelaiatura in
legno del tetto "a cupertine" prima di mettere le
tegole), "pince" (coppi).
Prima che i De Rensis, avendo subito la concorrenza dell'industria, chiudessero
l'attività (a Lucera, a Casalnuovo e a Casalvecchio, invece, i rudimentali
cantieri artigianali sono stati trasformati in moderne industrie di laterizi),
l'infaticabile Guglielmo, ultimo mattonaio della famiglia, con le
ultime sfornate, da solo, mattone su mattone, si è costruita la casa
dove abita con la sua famiglia.
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