Nel 1806, dopo l'eversione della feudalità, le famiglie più
abbienti si costruivano il forno in casa, perché era il segno distintivo
del benessere. l forni si moltiplicarono, per cui quelli pubblici, che erano
a paglia o a legna, avevano difficoltà a trovare clienti. Poi col
passar del tempo, mentre la panetteria casalinga si conservava più
a lungo in campagna e nelle masserie isolate, in paese si passava definitivamente
al forno pubblico.
Di primo mattino si sentiva la voce del fornaio che avvisava la massaia
di impastare la farina; tornava poi per far preparare le pagnotte. Infine
passava a ritirarle, confezionate in salviette ed adagiate in cesti di canne
(i ceste du pène). Le portava al forno a spalla su una tavola lunga
due metri e larga trenta centimetri circa oppure su un carrettino (trèinelle).
Per infornarle si seguivano tre turni: "il primo, il secondo (u prèsse)
e il terzo forno.
La camera di cottura del forno era costruita con mattoni (sbregliozze),
fatti a Serra dai mattonai (mètunére) con l'ottima argilla
locale, che conservavano il calore al punto giusto per far cuocere il pane
lentamente, per cui la genuinità del prodotto veniva valorizzata
da un' adeguata cottura naturale.
Intanto il fornaio, aiutato dai familiari, aveva già preparato
con l'attizzatoio (èttizzèforne) il forno, avendo fatto ardere
frasche, legna di quercia, di mandorlo e di olivo. Asportava con il tirabrace
(tirèvrèsce) i residui incombusti e i carboni che conservava
in grossi bidoni (furnècèlle) riciclandoli con la vendita.
Poi apriva la bocca del forno e con lo spazzaforno (munnele) puliva ben
bene il piano che doveva accogliere le pizze da infornare prima del pane.
Infine disponeva ogni pagnotta sulla pala (pènére), la portava
nel posto voluto del forno e poi ritraeva la pala con un rapido scatto.
L'apertura (bocca) del forno veniva chiusa durante la cottura. Il metodo
più naturale era costituito da una pietra fissata da una sbarra di
legno trasversale messa all'esterno, oppure da uno sportello di robuste
travi di legno. Nel tempo il vecchio sportello di pietra o di legno è
stato sostituito da una piastra di ferro mobile che si afferrava per un
manico, chiudendo la bocca del forno.
A cottura avvenuta il fornaio andava a fare le consegne dei pani a tutte
le famiglie che li chiudevano a chiave nelle loro madie. Questo alimento
essenziale della vita dei contadini andava protetto, benedetto, custodito
con gesti e riti che ne confermavano la sacralità (pane di S. Antonio,
di S. Matteo, ecc.). Non doveva essere sciupato per nessuna ragione al mondo.
Il pane nella tradizione dei cristiani è stato sempre il simbolo
sacro. Oggi invece, nell'epoca del companatico, il pane è trascurato,
disprezzato e molto spesso buttato.
Nel paese nuovo (For'è porte) cuocevano il pane Ngenzin Till-Tall,
Necole Pègliete, Necole Dé Rènze e Michele Siricola
in un forno a paglia.
Nel paese vecchio (dint'à tèrre) c'erano più fornai.
Un tipico forno a legna, gestito da Scarlatella Casimiro si trovava in via
Castagnaro denominata "a roje du forne"; anche in via Imbriani
detta per l'appunto "A pènettèrije" operava un altro
fornaio. In via Nicola Ciampa serviva il rione Peppino Bolzelli e Cerri
Santo; mentre nel vico Metastasio c'era il forno a paglia di Alessandro
Corroppoli (Bèlduvin), che fu smantellato per dare posto ad un panificio,
inaugurato dal sindaco Giulio Gentile e benedetto dal parroco don Adamo
D' Adamo il 14/5/1964, tuttora funzionante, essendo stato rilevato dal panettiere
di San Paolo di Civitate Cilli Salvatore.
Intanto, a causa della rivoluzione industriale, la panificazione casalinga
scompariva ed i fornai assorbendo man mano il lavoro delle massaie diventavano
panettieri.
Nel 1946 il bottaio De Vito Antonio e figli, avendo rilevato il forno
di Contento Giorgio di Chieuti, aprirono il primo panificio al n. 8 di via
Petrarca, poi spostato al n. 33 di Corso Garibaldi. Ha continuato il mestiere
il figlio Carlo in uno più moderno installato in via Rossini n. 39.
Un altro forno a gasolio e a legna, gestito da Giuseppe Del Bosforo e
Delliquatri Alfonso poi rimpiazzato da Gatta Pomepo, ha panificato dal 1954
al 1970. Nel 1971 rilevando il panificio di Natalina e Fortunato Sfarra
il valido Gatta Pompeo si è messo in proprio al n. 53 di via Nicola
Ciampa. Dall'aprile 1984 al n. 40 della stessa strada il Gatta in società
con Morricone Matteo ha aperto un nuovo panificio moderno, ma dopo pochi
anni lo ha lasciato in gestione al socio che tuttora lo conduce con perizia,
avendo cominciato il mestiere all'età di15 anni presso De Vito Carlo,
poi ha continuato dal 1972 gestendo il panificio di C. Gallo per 12 anni
circa.
Il quarto è nato nel 1966 in via Settembrini n. 99 dalla società
De Fronzo-di Siro, passato dopo sei mesi definitivamente alla famiglia di
Siro-Occhionero. I primi tempi vi lavorava l'ex fornaio Luigi Pipoli di
Chieuti, deceduto tragicamente nel 67 e sostituito in permanenza dal proprietario
Roberto di Siro. Questo panificio oltre all'impastatrice aveva un vapoforno,
con la camera di cottura rivestita di mattoni refrattari, che, alimentato
a olio pesante e a sansa, funzionava anche a legna in mancanza dell'energia
elettrica. In tal caso il pane, cotto lentamente, era più saporito.
Per svariati anni il panettiere, che è un ex coltivatore diretto,
panificava con il proprio grano duro macinato presso un mulino di Montecilfone
(CB). Così ha prodotto, per la prima volta a Serra, "il pane
di grano", che si distingue da quello comune per il suo colore giallino;
e nel 1974/75, dietro suggerimento del medico Rocco Campagna, "l'integrale",
fatto con erusca, cruschello e un po' di farinaccia. Ancora oggi il bravo
Roberto, che lavora dal 1980 nel suo nuovo panificio di via Parini n. 26
dotato di forno a gasolio, usa mettere le pagnotte in cesti di canne fatte
a suo tempo da un artigiano di S.Croce di Magliano.
Dal 1989 D'Apote Vincenzo di Lesina ha attivato un panificio moderno
in via Lombardia 3 (zona Convento) e oltre all'alimento primario produce
taralli e biscotti.
A tutt'oggi i quattro panettieri locali producono pezzature da 2 Kg,
1 Kg e 0,500 Kg di pane di grano tenero, mentre di Siro e Morricone anche
il pane di grano duro e integrale.
Il pane del futuro sarà precotto, surgelato e, prima del consumo,
indorato nella cottura finale che gli dà colore e fragranza.
Molto spesso noi cattolici, nell'opulenza del superfluo, mangiamo il
Pane di vita eterna, senza condividere con i fratelli bisognosi il pane
terreno.
Aggiornamento al 30 giugno 2004
I tre panifici in attività a Serracapriola sono:
- Il panificio "di Siro Occhionero", sito in via Parini n.26, con i panificatori Roberto di Siro (in pensione), i figli Pierfranco e Maurizio, e gli operai Vincenzo Pucarelli e Casimiro Scarlatella.
- Il panificio e tarallificio "D'Apote Vincenzo", sito in via Lombardia n. 3, con i panificatori Vincenzo D'Apote e il figlio Giuseppe.
- Il panificio "Padre Pio", sito in via Nicola Ciampa n. 40 con i panificatori Luigi Diella, la figlia Maria Lucia e l'operaio Alessandro Mastrangelo.
aggiornamento al 22 giugno 2005
Casimiro Scarlatella, ex dipendente della panetteria Di Siro, ha rilevato il forno di Luigi Diella in via N.Ciampa n.40 ed ha aperto l'attività il 22 giugno 2005.
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