LE REGOLE del dialetto serrano
Chèrdóne
Giuseppe Gentile

Chèrdóne, n.m. (pl.Chèrdune) – Cardo selvatico, pianta erbacea della famiglia delle Composite. Tra le molte specie del genere Carduus ricordiamo: il Cardo asinino (Cirsium lanceolatum); il Cardo santo, dai capolini gialli e foglie spinose, usato in medicina per decotti e tisane contro i disturbi del fegato e dell’apparato digerente; il Carduccio (Cynara Cardunculus); il Cardo rosso (Carduus nutans) è la pianta più nota molto diffusa nei luoghi incolti, a fusto alato, spinoso, con foglie dentate spinose. I chèrdune vengono anche coltivati dai nostri contadini. Sono commestibili i gambi delle foglie, resi bianchi e carnosi con l’interramento (vengono coperti di paglia e terra per poterli poi raccogliere nel periodo invernale).
Il detto “Chèfóne pène e chèrdóne”, che indica la povertà del contadino, costretto a mangiare pane e cardi, viene accentuato ironicamente da un altro detto:
“Vijèt’è té, chèfóne, chè te màgne pène e chèrdóne; jì, pòvere mòneche sventurète, me màgne a mètine u ghèllucce e a sére a frettète”. Beato te, o cafone, che mangi pane e cardo selvatico; io, invece, povero monaco sventurato, mangio di mattina il pollo e di sera la frittata. Pienamente sviluppato nel cortometraggio in vernacolo “U mónne jè nà róte” prodotto e interpretato da Renato Ciarallo e Pasquale Jesu.
Nella nostra tradizione culinaria il giorno di Natale come primo piatto si preparano i chèrdune cu bróde, i cardi in brodo di pollo o tacchino coperti da un miscuglio di uova e formaggio pecorino. I chèrdune èrrèchènète (cardi gratinati) sono un altro piatto tipico serrano.




























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