A SERRACAPRIOLA, 6° MERCALLI
31 ottobre, ore 11,33, iniziano le danze

di Stanislao Ricci.

Una folata di vento improvvisa. Poi, assordante e cupo, un boato che alle 11,33 si stempera nel sussulto della terra che inizia freneticamente a ballare.
Serracapriola scricchiola, si contorce, ondeggia. Si ferisce, azzannata da un mostro senza volto che dai vicini Monti Frentani picchia ovunque, senza sguardo.
Il paese si svuota di ogni attività: le strade si affollano rapidamente di volti impauriti che a lungo restano tali.
Il terremoto ha portato la morte a San Giuliano di Puglia e ha seminato panico e apprensione anche a Serracapriola dove parecchie abitazioni, chiese e lo stesso castello sono rimasti lesionati. La torre con l’orologio su Palazzo Arranga, uno dei monumenti simbolo del nostro paese è stato "momentaneamente" demolito in attesa di essere ristrutturato e riposizionato allo stesso posto.


ADDIO CARI RICORDl ! . . . .
di Luca de Luca.

Nel bel mezzo di un travagliato periodo di contrasti che per alcuni mesi hanno avvelenato la nostra esistenza in virtù di certe iniziative inutili e certamente dannose sotto ogni aspetto, ci è caduta addosso la più grave delle disgrazie che natura abbia generato: il terremoto. Erano anni che a serra non se ne verificavano sicché assistere in ..pieno giorno allo spettacolo di strade in movimento e case oscillanti come deboli fuscelli ha creato in noi sgomento e terrore. Constatare subito dopo i danni da ciascuno da noi subiti è stata la più inimmaginabile delle sofferenze. Personalmente sono forse il più colpito o sicuramente tra i più colpiti, in quanto il settecentesco palazzo de Luca, attualmente in fase di studio per il riconoscimento da parte della Soprintendenza alle Belle Arti di Bari del vincolo storico-architettonico-monumentale, si è in pratica completamente disgregato. Nessuna stanza si è salvata da lesioni e crepe ed è scattata quindi la inagibilità. Comunque non sono il solo a recriminare in quanto da quel che si vede e dalle segnalazioni effettuate agli organi competenti ben poche case, in particolare quelle nuove ed antisismiche, si sono salvate. Lo stesso Castello ed il vecchio Municipio con lo storico orologio hanno subito danni pesanti per cui necessitano interventi urgentissimi. Purtroppo a differenza di quanto fatto in altri Comuni del foggiano con danni di gran lunga inferiori a quelli da noi subiti, la nostra civica Amministrazione ha lasciato molto a desiderare sia nei primi interventi a favore della intera popolazione per diverse notti costretta a dormire nelle macchine, sia perché inspiegabilmente (si fa per dire) ha minimizzato i danni subiti dal paese snobbando risvolti importantissimi quali la esatta classificazione della intensità del sisma e quindi, ad esempio, perdendo alcuni benefici di urgenza adottati dal Governo quale il differimento del pagamento delle imposte di novembre, nonché e più necessario, l'inserimento di Serracapriola nel contesto dei Comuni sinistrati in maggior misura e quindi rientranti nelle contribuzioni per la ristrutturazione. Sicché in pratica, al momento siamo fuori da ogni aiuto! Eppure bastava solo volgere lo sguardo un po' ai paesi del Sud e molto a quelli del confinante Molise per risolvere non pochi problemi, i quali invece peseranno non poco nel futuro di Serracapriola. Vae victis - guai ai vinti - dicevano i latini, per cui abbandonare come nel mio caso ed in quello di altri danneggiati, le proprie dimore, i propri mobili, tutti i "beni custoditi nel corso degli anni e tramandati di generazione in generazione, è veramente triste e le lacrime non son poche. Aprire le finestre ed i balconi per guardare, anche di notte, l'orologio del palazzo civico per leggerne o sentirne le ore e trovarsi invece di fronte allo spettacolo di un rudere in abbattimento, significa subire uno choc tremendo. Non è possibile cancellare i ricordi di una vita, anche se questa, per manzoniano concetto, è solo una favola breve! Non c'è più tempo per ricostruire il proprio intimo alla stregua del tempo vissuto e perciò tutto ora è triste, tanto tanto triste.
Addio cari e dolci ricordi della mia infanzia, vi porterò nel mio cuore fino all'ultimo respiro"


Addio Cultura e non solo...!
di Antonio Daddabbo.

Non conosco la situazione del post-terremoto di Serracapriola, le mie riflessioni derivano semplicemente dall’esperienza vissuta in occasione del terremoto del 1980 in Basilicata, quando ho diretto una campagna di rilievi dell’Unità Fotogrammetrica dei Vigili Urbani di Bari. Di certo, da quanto appreso a distanza, dopo venti anni la situazione può ritenersi peggiorata più che migliorata: neppure la morte riesce più a rendere responsabile l’uomo!
La differenza tra noi ed i nostri antenati sta nell’interpretazione dell’aggettivo della parola "catastrofe" (terremoti, incendi, frane, alluvioni ecc.). Per gli antichi la "catastrofe naturale" era un evento "naturale", di cui l’uomo doveva tener conto in ogni intervento: la costruzione di una casa in prossimità di un cratere vulcanico o in riva ad un lago, teneva conto di un’eventuale eruzione o di un aumento del livello del lago (anche immediati) e quindi era frutto di una scelta economica. L’uomo moderno ha sostituito "naturale" con "eccezionale", facendo apparire la catastrofe un evento "contro natura": oggi si costruisce tranquillamente sul Vesuvio e, quando questo si sveglierà, questo evento sarà definito "anomalo".
In passato, nelle zone sismiche, la popolazione conviveva con il terremoto così come la popolazione di montagna conviveva con le frane o gli incendi o le valanghe. Osservando i piccoli centri della Basilicata si può notare, nelle successive ricostruzioni, quasi una migrazione delle abitazione dalle zone più a rischio a quelle più sicure: non c’erano perforatrici per verificare l'esistenza, sotto la casa, di strati di roccia o terreno, c’era solo l’esperienza tramandata di padre in figlio! L’esperienza diceva, anche, che un particolare sottosuolo poteva ammortizzare le vibrazione ma non eliminarle, dunque ci si sforzava di capire perché una casa era crollata, mentre un’altra, poco distante, era priva di lesioni: la rimozione dei materiali avveniva manualmente ad opera di chi era interessato alla ricostruzione dell’edificio e, quindi, interessato ad analizzare i materiali stessi ed il modo con cui erano stati assemblati. Oggi, invece, con estrema superficialità, si dichiara l’inagibilità, arrivano le ruspe e, facendo piazza pulita, azzerano il bagaglio culturale creatosi con secoli di manutenzione: la ricostruzione, poi, viene progettata a tavolino sul foglio di carta bianca, partendo sempre da zero. Analizzando i danni agli edifici antichi, carichi di storia e collaudati da non pochi terremoti, non è difficile accorgersi che, in nome della "ristrutturazione", c’è stato sempre "qualcuno" che ha "sfruculiato" l’edificio alla base, intaccando le strutture portanti, giudicate esuberanti! La demolizione, comunque, dovrebbe essere l’occasione, più unica che rara, per studiare il "bene culturale" sia direttamente che indirettamente, nel tempo, con rilievi fotogrammetrici, il cui tempo di esecuzione è quello di uno scatto fotografico ed il cui costo è da considerarsi nullo, eppure si demolisce senza documentare e si ricostruisce con la pretesa di creare una copia di ciò che è stato demolito.
Una volta si diceva che per formare un notaio occorrevano almeno tre generazioni, e quando si parlava di notaio si faceva riferimento a colui che doveva solo registrare degli atti, non a colui che doveva effettuare interventi come l’artigiano o il medico. In un noto film, alla domanda "quanto tempo occorre per formare un maggiordomo come Lei?", il maggiordomo rispondeva "pochissimo Signore, appena due generazioni!". L'unità di misura del tempo, nella formazione, era "la generazione": la formazione di base avveniva in famiglia ed era solo integrata da quella scolastica (eppure si trattava di Scuola-bottega). Oggi il figlio del contadino diventa architetto ed il figlio dell’architetto (cittadino per definizione) pretende di fare il contadino, forse semplicemente perché qualcuno gli ha detto "ma vai a zappare!". Gli elementi spesso trascurati, come l’aria o l’acqua, acquistano valore quando mancano e oggi si comincia a parlare di "cultura contadina", forse perché ci si è accorti che la qualità del prodotto agricolo, quindi dell’alimentazione, è inversamente proporzionale al "progresso": ci vorranno, invece, ancora molti decenni per sentir parlare di "cultura architettonica" e capire perché, in passato, qualcuno per la semplice decorazione di una Cappella ha affrontato le ire del Papa, accettando persino la "scomunica".
Tra i ricordi indelebili del 1980, conservo il contrasto tra l’orgoglio con cui un muratore mostrava il proprio edificio multipiani rimasto intatto e l’immagine di un altro edificio in c.a., leggermente inclinato e con il primo piano "sceso" a livello stradale. Di quest’ultimo edificio non si è mai sentito parlare, ma, considerato che al piano terra c’era la sede di una banca, se l’ora del terremoto del 1980 fosse stata la stessa di quello del 2002, chissà per quanti giorni avremmo visto l’edificio in televisione: per recuperare gli occupanti della banca, infatti, i primi soccorsi avrebbero dovuto rimuovere uno stabile in c.a. di quattro piani ed ancora in piedi!