Nel 1627 un’onda gigante colpì il Gargano: i morti furono 4500. La furia delle acque si scagliò contro il tratto di costa prospicente il lago di Lesina. Le località più danneggiate furono Apricena, Torremaggiore e San Paolo Civitate.
   «Il terremoto... in Puglia... ruinò affatto le Terre, e Città intiere, con segni prodigiosi, e durò tre hore interpollatamente... In alcuni luoghi... si sentirono voci dolorose, che per il gran timore, e strepitio della gente, non si poté distintamente intendere le parole, in modo che pareva fosse giudizio universale, come fu per quelle povere anime, la quantità delle quali per hora non si può sapere». È la cronaca, in una relazione anonima dell’epoca, del terremoto che nel 1627 colpì il Gargano e la Capitanata: tra l’altro, provocò un’onda gigantesca, simile a quella verificatosi nel Golfo del Bengala, che si schiantò sulla costa settentrionale del promontoro. L’ondata di maremoto si abbattè sul tratto di costa prospiciente il lago di Lesina, il litorale di Manfredonia e la foce del fiume Sangro; e provocò l'allagamento della pianura tra Silvi e Mutignano e l'inondazione delle campagne di Sannicandro Garganico. Morirono almeno 4500 persone, soprattutto a causa dei crolli provocati dalle scosse telluriche.
  Tuttavia anche lo tsunami ebbe proporzioni notevoli per il Mediterraneo e fu uno dei più potenti che si ricordino. Le cause? «La Puglia - si legge in una relazione del Gruppo nazionale per la difesa dai terremoti (Gndt) e dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), realizzata nel 1999 - è caratterizzata da una sismicità di un certo rilievo solo nell’area garganica e nel Foggiano, dove si sono verificati alcuni terremoti di forte intensità con gravi danni e numerose vittime, come in occasione della scossa del 30 luglio 1627 o del 20 marzo 1731».
  Significativo per quest'area è certamente quello del 1627, per la ricca bibliografia e documentazione esistente - continua la relazione scientifica - In occasione di questo terremoto furono pubblicati i primi esempi di Carta macrosismica, con la rappresentazione degli effetti distinti in quattro gradi». Il sisma ebbe un'intensità massima (complessiva di diverse scosse) dell'XI grado della scala Mercalli. Le località più colpite furono Apricena, Lesina, San Paolo di Civitate, San Severo e Torremaggiore, Serracapriola, dove la maggior parte degli edifici crollarono.
  Un esempio: a San Severo, racconta ancora l’ignoto cronista seicentesco, «cascò tutta (la città) senza restare in piedi che una sola casa, nella quale vi era una grotta grande, cisterna e pozzo, con mortalità infinita di donne, figlioli, vecchi e altre persone civili, che a quell’ora si trovavano in casa». L'area danneggiata meno gravemente comprese le località costiere del Gargano, fino a Manfredonia a sud ed a Termoli, a nord. Il terremoto fu avvertito a est fino alle isole Tremiti ed a ovest in molte località dell'Appennino dauno e della Campania, compresa Napoli. Ad Apricena morì il quarantacinque per cento degli abitanti, a Serracapriola e a San Paolo di Civitate il trentacinque per cento.
  «Il terremoto colpì in maniera grave la Capitanata nel patrimonio edilizio e nelle infrastrutture agricole, causando un danno rilevante, che non fu alleviato da adeguate disposizioni amministrative», si legge ancora nella relazione del Gndt. «In alcuni casi - continua - è ricordata l'emigrazione di molte famiglie ed anche di religiosi, da San Severo e zone limitrofe verso località ritenute più sicure. L'effetto demografico di lungo periodo su alcuni abitati fu notevole. A San Severo nel 1637, a dieci anni dal terremoto, le famiglie erano

MARCO BRANDO