Agli inizi del secolo
il cacciatore poteva usufruire di un habitat ricco di selvaggina.
Il nostro agro abbondava di avifauna con numerose specie sedentarie
che abitavano il territorio tutto l'anno e altre soggette a migrazioni
legate alle condizioni climatiche. Civette, ciuvétt,
barbagianni, frècciòmmele, falchi,
fèlecunétt, le gazze, còlè
còlè, la taccola, curnacchiè
pèiséne, i passeri, i cardellini, la lodola
capelluta, tuppètt, l'alanda calandra, chèlèndròne.
In autunno gli uccelli migratori erano numerosissimi. Si vedevano
i piccioni selvatici posarsi sulle cime delle alte querce, i colombacci,
più grossi, i turchièle, che passavano
anche d'estate. Le allodole, dette terragnole, tèrègnòle,
perché per il loro marcato mimetismo si confondono con
il terreno, erano soggette ad una caccia spietata che si praticava
con lo specchietto, a volo e di notte col lume e con la campana.
I nostri stagni e acquitrini si popolavano di molte specie di
anitre, di germani capoverdi, di fischioni, caporossi, moretti,
codolanee, terzèlle e mèrzèiole.
In autunno e inverno si trovavano i beccaccini, i frullini, i
voltolini, le gallinelle d'acqua, stormi di pavoncelle tonacelle,
di pivieri, di storni. In primavera nelle zone acquitrinose era
atteso dal cacciatore il cioccolone, congenere del beccaccino,
per la sua squisita carne. Le beccacce abitavano le boscaglie,
dove viveva anche il merlo, da novembre a marzo, mentre il tordo,
mèlevizz, si fermava nella macchia e nell'oliveto.
Stormi di migliaia di corvi, ciàvele, arrivavano
a novembre danneggiando i seminati. I ciavolari, armati di fucili
avancarichi, con spari, grida e rumori, allontanavano gli alati
predatori dai campi. Negli inverni rigidi, quando c'era anche
il passaggio della gru, a decimare invece le oche selvatiche,
pàpere, divoratrici di piantine di grano,
ci pensavano i terrazzani foggiani che con i loro fucili
a lunga portata, paparari, si guadagnavano la giornata. Anche
la caccia alla quaglia, quàgghje, era attivissima
non solo con il fucile, ma anche con le reti usate dai marchigiani
che, accompagnati dalle guide serrane, adescavano la preda con
i richiami. La pernice, la starna e la tortora erano le altre
prede che riempivano il carniere del cacciatore. Venivano arnmirati
per la loro appariscenza variopinta l'oriolus galbula, gèllòne,
splendido uccello giallo con le ali nere, il picchio verde, verderème,
l'upupa, u ghèllucc sèlevàgg,
il gruccione aparulo dalla livrea verde, gialla e nera.
Non molti erano i mammiferi che s'incontravano nel nostro territorio.
Reperti di corna di cervo trovati sepolti vicino al Fortore, hanno
provato che questo animale una volta abitò il nostro agro.
Il cinghiale e il capriolo che nel 1880 popolavano
ancora le nostre contrade nel 1915 scomparvero, quando venne loro
meno l'habitat, cioè il bosco continuo ed ininterrotto.
Bisogna però puntualizzare che nel novembre 2000, grazie
al ripopolamento di cinghiali fatto nel Canale Capo d'Acqua, i
cacciatori Antonio Giacci e Achille Pallamolla hanno
abbattuto parecchi esemplari. Il lupo si vedeva spesso al seguito
delle greggi alla smonticazione. Molto diffusa era la volpe,
vòlepe, preda ambita per la pelliccia, ma
alcuni non disdegnavano di apprezzarne anche la carne. Ancora
oggi si vedono molti esemplari di volpi specie lungo la strada
provinciale Chieuti - Ripalta, spesso vittime involontarie di
automobilisti nelle ore notturne. La boscaglia e i roveti accoglievano
la martora, la puzzola, chènepuzz, la faina,
il gatto selvatico, la donnola, il riccio, il tasso, tèsciòle,
e vicino ai corsi d'acqua la lontra.
Ma il roditore che veniva cacciato attivamente e senza tregua
era la lepre, u lèbbre. Con mute di cani
segugi veniva scovata, u lèbbre ndà chènnizz,
e seguita finché il cacciatore non la freddava; col cane
da fermo che trovatala nella tana, immobile, la segnava al padrone;
con altri mezzi illeciti (la pedica sulla neve, la presa
al laccio) i bracconieri avevano la meglio su questo timido
animaletto.
Per la Capitanata, in base ad una deliberazione del 21 febbraio
1899, il divieto della caccia di tutti gli animali, sia col fucile
che con le reti, durava dal 1° aprile al 15 agosto di ogni
anno. Il 28 marzo 1912 il Consiglio Provinciale su proposta del
Cav. Domenico Fascia, appassionato cacciatore nonché
intelligente e ricco agricoltore, voleva modificare la precedente
deliberazione per proteggere maggiormente la fauna. A questo molti
cacciatori insorsero riuscendo a non far approvare la nuova deliberazione
(Notizie liberamente tratte dal testo -Serracapriola- di A.de
Luca).
Quest'anno la stagione venatoria è iniziata il 2 settembre
2000 e terminerà il 31 gennaio 2001 con esclusione dei
giorni di martedì e venerdì. La selvaggina si è
ulteriormente ridotta soprattutto per la scomparsa dell'habitat
e per l'inquinamento. Questo dovrebbe incoraggiare i cacciatori
a sostituire il fucile con la macchina fotografica per immortalare
gli animali della zona in via di estinzione. Come è successo
al capriolo serrano
alla cui memoria è stato eretto al centro della fontana
un monumento (funebre?) - Visto che accanto alla "vasca"
troneggia una specie di loculo - ossario.
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