Le grosse proprietà, che comprendevano la maggior parte
dell'agro serrano, venivano date in affitto dai padronini, residenti
normalmente nelle città, ai coltivatori del posto.
L'affitto poteva essere: chiuso, quando il colono, pagando
al proprietario, era libero di gestire a suo piacimento i terreni;
a terzo, molto raro; e a quarto, il più diffuso,
quando l'estensione locata si divideva in quattro parti, di cui
due venivano seminate anno per anno, una era preparata a maggese
e l'altra era tenuta a pascolo. Il pagamento dell'affitto, chiamato
estaglio, si faceva sempre con il prodotto seminato, grano
duro o tenero.
Affitti simili, abbastanza vantaggiosi per i coloni, non erano
alla portata di tutti, perché richiedevano animali e grossi
capitali. In genere la maggior parte dei coloni si limitava a
prendere in affitto poche (sette o otto) versure, per non rischiare,
sperando nella buona annata. Nel periodo della semina i coloni
che non avevano i mezzi per acquistare il seme potevano chiedere
il mutuo alla Cassa di Prestanza Agraria (1875): £.100
per ciascun colono con l'interesse a ragione di tempo de16%.
Intanto le migliorate condizioni dell'agricoltura, dovute alla
fertilità dei terreni vergini, scaturiti dalla dissodazione
di buona parte dei boschi, portarono all'aumento degli affitti
a vantaggio dei possidenti che tra l'altro dilapidavano le loro
rendite altrove. Così nel marzo del 1900 da un'idea di
Giuseppe Castelnuovo e Domenico Ricci si costituì
il primo Consorzio Agrario Cooperativo. Esso in seguito
si sviluppò grazie all'impegno di Alfredo De Luca, Felice
Alberico, Pasquale De Luca, Vincenzo dott. Castelnuovo, Giuliani
Can. Vincenzo, Giovanni D'Adamo, del cassiere Fortunato
Cardascia e del segretario Domenico Siniscalchi.
ORDINE E GRADO DEI LAVORATORI.
Il capo dei contadini che lavoravano in una masseria era il Curatolo.
Temuto e rispettato, era la persona di fiducia e il confidente
del padrone, alle cui dipendenze stava fino alla morte. Presso
la masseria di D. Ciccino de Luca il vecchio erano stati
rubati dei buoi e il padrone era amareggiato perché non
si riusciva a scovare il ladro. Il suo curatolo si allontanò
dalla masseria e dopo parecchio tempo ritrovò i buoi e
decapitò il ladro. Come prova del suo gesto portò
al padrone, segno estremo di fedeltà, la testa recisa del
malfattore. C'erano poi il sotto-curatolo, il carriere,
l' imporcatore; i gualani e sotto-gualani a cui erano affidati
i buoi per la pastura i vaccari che custodivano le vacche,
i giumentari, il buttaracchio, garzone addetto alla
cura degli asini, il buttaro, pastore di animali grossi
(muli, cavalli, buoi); il porcaro; il cavallaro
oltre ad avere la custodia dei cavallli, faceva tutti i lavori
dei campi e portava la carretta. (Notizie tratte da "Serracapriola"
di A. De Luca).
Le condizioni dei lavoratori della terra erano estremamente precarie
per i bassi salari con cui dovevano sfamare sé stessi e
le famiglie. Un misero compenso di un durissimo lavoro tutto manuale
che portava il bracciante ad esasperate espressioni rabbiose verso
il curatolo: Ueh! Curatele! Mò te presènte
l'èccuncime:/ i tegnòle ti ppènn ngànn,
/ mè fàtt mègnè u pène de chènine,
/mè fàtt véve l'acque du pènténe,
/à tripp c'é fàtt quant'é nu pelòne,
/ chè ce pònn èbbuverè i cchèrrèvène,/
mè fàtt fè i dénte còmè
nu zèppòne, / ce pònn chèvè
i ciòcchele è li mezzène.
Il salariato, a volte, veniva assunto dal padrone con un regolare
contratto scritto:
CONTRATTO DI PRESTAZIONE D'OPERA IN DOPPIO ORIGINALE TRA
il sig. Enrico Pedrosi proprietario conduttore d'un'Azienda
Agricola in Comune di Serracapriola, e Augelli Primiano
del Comune di Lesina.
Tra i suddetti si è convenuto il contratto di prestazione
d'opera ad anno, cioè, dall'otto settembre 1907
all'otto settembre l908 ai seguenti patti e condizioni:
I. - il detto Augelli assume l'obbligo del servizio ad
anno nella qualità di Bifolco impegnandosi di restare
continuamente al lavoro per tutto l'anno colonico. Dovrà
anzitutto, obbedienza assoluta, ed eseguire tutti i lavori che
gli verranno comandati dal padrone o da chi per esso, senza eccezione
di sorta.
II. - In compenso dell'opera sua riceverà lire 297,50
pagabili nel modo seguente: un terzo all'8 settembre un altro
terzo divisibili in 5 rate uguali lungo l'anno ed infine l'ultimo
terzo da conteggiare alla fine dell'anno. Le 5 rate saranno pagate:
la 1a al l° novembre, la 2a a Natale, la 3a fine Carnevale,
la 4a a Pasqua e l'ultima nel giomo della festività del
Santo Patrono del paese ove domicilia il salariato.
Oltre al salario riceverà tomolo uno di grano o bianchetta
(litri 55) e macinatura. L. 1 olio caraffa17 gr.900 e sale g.
R 17 pari a gr.1200.
a) Avrà inoltre passi 20 pari ad Ett. 0,4115 di
fave franche, e due porche di ceci pure franche da estaglio e
di ogni lavoro eseguito con animali come la semina, il trasporto,
e la trebbiatura, mentre tutti gli altri lavori ove occorre la
mano dell'uomo sono a carico del lavoratore.
b) È stretto obbligo di costui di zappare due volte
le fave cioè eseguire la 1a e 2a zappatura a regola d'arte,
concimarle col Perfosfato minerale in autunno, e questo sarà
fornito dal padrone a prezzo di costo, il quale ne riterrà
l'importo sui conti annuali, od in fave alla raccolta.
c) I ceci saranno zappati una sol volta.
d) Questi legumi saranno trebbiati immediatamente dopo
di quelli padronali, e riposti in magazzino o per essere venduti
o trasportati al domicilio del salariato appena finiti i lavori
di trebbiatura e dell'aia essendo assolutamente vietato di trebbiare
i legumi dei salariati, quando in mezzo all'aia vi siano cereali
del padrone da rimettere o paglia da abbicare.
e) Chi non terminerà l'annata per una ragione qualsiasi,
perderà ogni diritto su queste semine e ciò per
convenzione espressa.
f) Il seme di dette colture, cioè dei legumi, deve
essere fornito dal salariato a tutte sue spese, però se
qualcuno non potendolo trovare venisse fornito dal padrone, il
prezzo di detto seme sarà senza discussione alcuna ritenuto
sulla 1a rata di salario che andrà a scadere dopo la sovvenzione
del seme e al prezzo corrente della semente.
g) È vietata qualsiasi altra coltura anche a mezzadria.
III. - Il riposo è espressamente convenuto ogni
quindici giorni, o meglio due feste al mese eccetto in tempo di
semina ed in tempo d'aia. In dette due epoche di forti ed urgenti
lavori, non si può perdere il tempo prezioso ed utilissimo
in feste. Si permetterà ogni tanto alla sera di fare una
sfuggita in famiglia per turno, ma mai più di un salariato
per sera. Eccetto i periodi di aia e semina, si permetterà,
a metà della quindicina, cioè il sabato, d'andare
a casa alla sera per tornare per tempo alla mattina della Domenica.
IV.- Se malauguratamente all'otto dicembre non fosse finita
la semina, nessuno potrà lasciare il lavoro sebbene la
chiesa santifichi la festa della Madonna. Così pure la
festa della Madonna del 15 agosto, si dovrà lavorare ove
mai non si fosse ultimata la trebbiatura.
Chiunque mancherà a tali patti dovrà pagare al padrone
L.5 per ogni giornata di assenza a titolo di danni ed interessi.
V. - Per la festività del Santo Patrono del paese
avrà due giorni di festa. Lascerà il lavoro alla
vigilia della festa ad ora sufficiente per recarsi al paese, ove
resterà il giorno della festa e il giorno dopo.
VI. - La raccolta del fieno è considerata come
raccolta, perciò, nel giorno di S. Antonio, 13 giugno,
non si fosse ultimata la meta del fieno, si dovrà lavorare
assolutamente non essendo detto giorno una festività riconosciuta
dallo Stato.
VII. - Nella masseria vi sono fornelli e paglia per cucinare.
Solo di quelli si dovrà usare per la cucina della minestra,
essendo vietato di accendere fuoco altrove. Il fuoco dovrà
solo usarsi per il riscaldamemo nei mesi invernali, e per asciugarsi
quando si fossero bagnati gli abiti.
VIII. - L'orario del lavoro sarà sempre da un crepuscolo
all'altro, qualunque disposizione di Legge, disponesse il contrario
pei lavori industriali. In tempo di semina poi, si dovrà
anticipare l'uscita perché essendo le giornate brevissime,
è mestieri trovarsi sul campo prima dell'alba. La colazione
in campagna si farà dal 21 marzo al 31 ottobre, mentre
dal 1° novembre al 21 marzo detto, non si mangerà che
una volta solo a mezzogiomo.
In tempo d'aia o megIio nel trasporto dei covoni quando le pezze
sono lontane, i bifolchi e i carrettieri mangeranno lungo la via
e mai stare fermi in masseria. Solo a mezzogiorno avranno un'
ora e mezza di riposo dall'arrivo all'aia alla partenza al campo.
IX. - L'ora per il ritorno al paese sarà alle ore
15,30 in settembre ed ottobre, durante la semina nulla, dicembre
e gennaio 14,30, febbraio ore 15, marzo 15,30, aprile 16,15, maggio
17,30, giugno, luglio ed agosto (aia) e residuo agosto 17,30,
qualunque altra andata abusiva per personali bisogni fuori di
quanto è stabilito all'art. VIII saranno segnate le ore
perdute come intacca, e così per tutte le giornate di assenza.
X.- Quando si dasserà il fiume la carretta dei cavalli
sarà adibita al trasporto operai e pane, ma quando il fiume
è in piena, si provvederà pel solo trasporto pane
come meglio conviene al padrone.
XL - Oltre alle spese di vitto il padrone a viemmeglio
contentare ed incoraggiare il salariato in tempo d'aia darà
cl.17 di vino al giomo, formaggio gr.800 al mese, minestra alla
sera in tempo di trebbiatura e panette di pane n. 40 del peso
di gr.1200 l'una.
L'aia s'intende, che incomincia dal giorno in cui i mietitori
lavoreranno l'intera giomata.
originale |
Dati i tempi, in cui i padroni potevano condizionare i salariati
come volevano, questo contratto di prestazione d'opera
fa riflettere. Oggi in cui il consumismo ci fa lavorare in genere
per il superfluo i braccianti che devono accontentarsi dello stretto
necessario sono gli extracomunitari.
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