P. Urbano da Manfredonia, andò pellegrino in terra umbra per visitare
i luoghi santificati dalla presenza del Serafico Padre S. Francesco.
Rimase talmente colpito da quei luoghi, che chiese e vestì l'abito
cappuccino.
Iniziò il noviziato con tanto fervore, che in breve raggiunse
le vette della perfezione. Con grande gioia di spirito, terminato l'anno
di noviziato, fu ammesso alla professione dei Voti di Ubbidienza, Povertà
e Castità. Di intelligenza acuta e di ferrea volontà, brillò
anche negli studi e fu consacrato sacerdote. In breve ricoprì le
cariche di Guardiano, Provinciale, Definitore Generale. Fu predicatore eloquente
e ricercato per la santità di vita e per la parola penetrante e convincente.
Invitato a predicare la Passione di Nostro Signore a Campobasso, e non
potendo la chiesa di S. Leonardo contenere tutti i fedeli, uscì a
predicare sul sagrato della chiesa sì da essere ascoltato dai fedeli
che erano in chiesa e da quelli che stavano in piazza. Durante la predica
si scatenò il temporale e la pioggia scendeva abbondante. La gente,
per non bagnarsi, cominciava a sfollare. Intervenne il santo predicatore
ed esortò i fedeli a restare e avere fiducia in Dio. La predica durò
varie ore, e nessuno dei fedeli rimase bagnato dalla pioggia.
Durante la celebrazione eucaristica gli uccelletti si posavano sulle
sue spalle, quasi in adorazione del Mistero.
Si nutriva di cibi grossolani; spesso mangiava solo pane ed agli; dormiva
su una stuoia ed in luoghi angusti.
Nel 1578, partecipò al Capitolo Provinciale nel convento di Venafro.
Fu eletto nostro Provinciale a pieni voti, e dovette accettare nonostante
rinunziasse e con lacrime.
Governò la Provincia solo quattro mesi. A Serracapriola si ammalò
gravemente.
Prima di rendere la sua anima a Dio, fu assalito da una grande tentazione:
aver predicato se stesso e false dottrine!
Per vincere questa tentazione, si fece portare due candele accese e,
presi tutti i suoi scritti, così pregò: "Signore, se
in questi scritti viè cosa alcuna contro la Chiesa, ordinazioni,
decreti e concili d'essa, o che io abbia in alcun modo deviato dalla retta
predicazione, fate che s'abruciano e al tutto si annihilano".
Per quanto accostasse gli scritti alle due candele accese, questi non
presero fuoco.
Chiamato il Superiore del convento (p. Matteo d' Agnone o P. Bonifacio
da S. Germano) rinunziò all'ufficio di Superiore Provinciale, consegnò
il sigillo, rinnovò i Voti di Ubbidienza, Povertà e Castità,
ricevette i Sacramenti e rese la sua anima al Creatore.
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