Nel febbraio 1635, in una Serracapriola ancora disastrata dal terremoto del 30 luglio 1627, comparvero i d'Avalos, feudatari di Pescara-Vasto. Per ottenere il pur sempre ameno e ricco feudo di Serracapriola-Chieuti, messo in vendita da Andrea Gonzaga, avevano brigato molto e a lungo. Durante il loro governo, durato un secolo esatto, i serrani vennero sottratti alla qualità della vita che precipitò in una somma di balzelli e spoliazioni, che li assimilò ai servi della gleba.
 Per Serracapriola, l'ultimo del casato, successore testamentario (16 giugno 1716) di Cesare Michelangelo (1667-1729), fu Giovan Battista, figlio del principe d'Avalos di Troia.

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Il marchese Giovan Battista d'Avalos, come raccontano le scarne cronache serrane, volle esercitare lo ius primae noctis con una popolana nostrana di non comune beltà.
 A riscattare la velata immagine familiare provvide il marito della malcapitata, angosciato da un rosicchiante tarlo.
 Armatosi di schioppo e di certosina pazienza, il castigatore coraggioso si appostò sul campanile di Santa Maria in Silvis. Di lassù, complici tenebre settecentesche, puntò contro il blasonato bersaglio che, ogni sera e di prima sera, alla fine del banchetto, soleva godersi il chiarore lunare alle finestre del proprio maniero. Un crepitìo improvviso vitalizzò la serotina quiete serrana: l'obiettivo restò indenne. In quell'attimo fuggente, la qualità migliore del killer non fu la mira

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Colui che osò osare si rifugiò, lì per lì, nella cappella del Sacramento di santa Maria in silvis, precipitosamente guadagnata. In quel luogo sacro, catturato dagli sgherri feudali, "ebbe tronche le mani" e trascinato "appié del prepotente". Lo impiccarono, senza indugio, nel bosco che il ribelle stesso possedeva non lontano dall'abitato. E al vento della valle, il suo corpo ondeggiò, per giorni e giorni, esempio e monito a reazioni progressiste. Il luogo dove si consumò il macabro rituale si denominò "u' véle da forch"', toponimo rurale (ereditato dalla cultura longobarda) documentato a Serracapriola già nel 1745.
 "La salutare ribellione fece rimanere inerte" - d'allora in poi - il "trabocchetto" del castello, "orrenda voragine a forma di cono rovesciato", usato dal cinico e sprezzante d'Avalos per liquidare avversari e vergini ribelli. La finestra del maniero, bersagliata dalla fucilata venne murata; a tergo, si edificò una piccola cappella ancora oggi esistente.

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Dopo lo scampato pericolo, Giovan Battista d'Avalos, coinvolto anche in vicissitudini patrimoniali, diradò sensibilmente le sue "presenze" in Serracapriola. Il nome del nobile, divenuto sinonimo di terrore, veniva spesso rinverdito nel passato serrano per neutralizzare l'eccitazione dei ragazzi irrequieti e bricconcelli. "Zitti - bastava che lor si dicesse - ché adesso viene il marchese di Vasto! ed essi, poverini, non fiatavano più e, se di sera, si cacciavano sotto le coltri e dormivano!".