La religiosità naturale del mondo contadino, frammista alla superstizione e all'apparato magico-mitico, era legata a bisogni materiali di prima necessità, nelle sue espressioni individuali e collettive, con le testimonianze di pietà, l'iconografia dei santi, i riti agrari, i culti delle acque, degli alberi, la geografia domestica della fede. Nella famiglia unita quotidianamente si pregava prima dei pasti, a sera si recitava il rosario. Lo scambio continuo di aiuti caratterizzava il vicinato. Un disegno di devozione che si espandeva dalla chiesa, ai rioni, ai luoghi minori di culto, alle case, al cimitero della comunità.
 
 Le coperte
 Non c'era donna che non addobbasse il balcone con la più bella coperta della dote, spesso tessuta da lei stessa, al passaggio della processione: Chiesa in cammino fra questi drappi multicolori, simboli dei talami della vita. Al Corpus Domini, le strade del paese si riempivano di altarini "i vùtére", addobbati con le stesse coperte per accogliere il Santissimo Sacramento
 
 Le edicole devozionali
 Dipinti e bassorilievi sacri occupavano le nicchiette delle edicole devozionali in molte strade del nostro paese. Oggi ne sono rimaste dodici, fra cui la più rappresentativa e la più curata dai devoti del rione è quella della Madonna del Carmine in via Cairoli, n.23, dove ogni anno il 16 luglio si organizza una caratteristica festicciola, addobbando l'arco dove si trova l'immagine della Madonna, a mo' "de vùtére".
 
 L'iconografia domestica
 Si ritiene che le prime icone di santi rappresentassero gli stiliti: il popolo portava con sè queste immagini per avere davanti agli occhi un richialmo costante dell'esigenza evangelica. Anche dopo, "i crestijène", vivendo in familiarità con Dio, con Maria e con i Santi, avevano bisogno fuori dalle chiese di segni visibili per invocare i loro protettori, di cui erano timorati. Il crocifisso al collo, "i portèsante" santini di meta]lo, "i fegùre" immaginette, litografie raffiguranti il patrono e i vari santi, alcune volte dai bordi merlettati. Gli abitini, dalla funzione protettiva e scaramantica, erano borsettine quadrate di pochi centimetri che contenevano santini, chicchi di grano o foglie di olivo benedette. Essi venivano appuntati ai corpetti delle donne o all'interno delle fasce dei neonati. Ma non tutti erano timorati di Dio, anzi... si narra che nel regime fascista, periodo in cui era proibito il turpiloquio, un noto bestemmiatore del posto avesse foderato la sua coppola di immagini sacre ("fegure") e ogni volta che Bèlzèbù lo spingeva a imprecare contro qualche santo si scappellasse.
 
 Un calendario di santi
 In casa la fede domestica era rappresentata da un richiamo costante di segni ed immagini sacre. Sulla testata del letto matrimoniale "è chép'u lett" c'era l'immancabile quadro che raffigurava la Sacra Famig]ia. L'altarino di famiglia era costituito da una nicchia di solito ricavata in una parete della camera da letto dove prendevano posto statuine di bronzo, di terracotta o di cartapesta. Nel castello o nella casa ducale Sanfelice ci sono tuttora due autentici altarini incassati nel muro. Le campane di vetro sui cassettoni custodivano altre statue di cera o di altro materiale. Altri dipinti di santi su vetro arredavano le altre parti della casa. Una piccola croce che sosteneva anche un rametto di olivo benedetto era appesa ad una parete della cucina. Non mancava una piccola acquasantiera di ceramica con l'acqua santa, il quadretto della Madonna con affianco il cero della Candelora da accendersi in caso di grandine o altre calamità. Dietro la porta d'ingresso accanto al ferro di cavallo venivano posti dei piccoli crocifissi di legno e l'immaginetta del santo patrono. È chiara la confusione fra fede e superstizione. Nella stalla l'immaginetta di San Matteo "proteggeva" i cavalli, benedetti il giorno della sua festa. I santi segnavano la calendarizzazione delle colture. Il vino nuovo si spillava a San Martino. Il giorno di Tutti i Santi "o nére o gghjanche" s'iniziava la bacchiatura delle olive.
 
 L'altarino dei Lari
 Si tramandava l'onomastica biblica. Si veniva battezzati con i nomi dei santi, segni eterni di appartenenza al popolo di Dio. La tradizione di tramandare da padre in figlio i nomi degli antenati della famiglia patriarcale era segno di rispetto per il capostipite, oltre che di devozione per il santo di cui si portava il nome. E la FAMIGLIA continuava a restare unita nella memoria dei discendenti che la ricordavano nelle preghiere e nelle visite al camposanto. Un richiamo costante dei cari defunti erano le loro fotografie incorniciate e poste in casa sull'étagère "u létàgene", dove non doveva mancare il cerino sempre acceso. Le donne portavano al collo la foto in miniatura, incastonata in un medaglione, della persona cara defunta.
 
 Il modernismo
 Non più timorati di Dio, insuperbiti dal benessere economico e da un intellettualismo-positivista, elargito da una scuola senza crocifisso, a nome di una pseudo-civiltà, stiamo rovesciando i valori. Si impongono ai neonati nomi storpiati, inquinati di forestierismi. L'indifferenza per i toponimi e per la ricerca onomastica è un altro segno della caduta di religiosità e di interesse verso la storia. Frastornati da tanti idoli, in balia di maghi ed oroscopi, abbiamo devastato la natura e la famiglia, prima cellula della società. Non è l'adulterio in sé che viene messo in discussione. Si sa bene che questo male, come ogni altro, è vecchio come il mondo. Ma sono da respingere i sofismi "razionali" che vorrebbero giustificarlo ed elevarlo a rango di esigenza dell'uomo e della donna. Per cui si viaggia a ruota libera e la babele aumenta: bigamie e aborti legalizzati, amori liberi, pedofilia, arricchimenti illeciti, prostituzione. Si ha addirittura la pretesa di equiparare le convivenze e le unioni fra gay ai matrimoni.
 Riconosciamo i nostri errori. Essere peccatori è la nostra disgrazia, sapere di esserlo è la nostra salvezza.