L'eredità lasciata dal defunto Sindaco Cardascia ai suoi diretti collaboratori e successori era veramente pesante.
L'italia era in piena guerra e le sofferenze e restrizioni erano dovunque risentite anche dalla popolazione civile. Serracapriola, come sempre, viveva del prodotto dei campi. Ora questi a causa della mancanza di braccia operose erano quasi abbandonati. Mancavano persino gli animali da lavoro prontamente requisiti dal govemo ed inviati a soccorrere le truppe combattenti con carriaggi e salmerie.
In paese c'era miseria e carestia sicché l'opera degli amministratori era quanto mai ardua e delicata. Non potendosi soddisfare le richieste degli amministrati che solamente in minima parte, si finiva col suscitare scontento e, peggio, rancore.
In quello stesso periodo era inoltre in atto una terribile epidemia denominata SPAGNOLA.
Qui ritengo utile riferire integralmente quanto descritto dal nostro Alessandro D'Adamo nel suo ripetuto manoscritto:
"Infieriva in Serracapriola, come in tutte le città e paesi dell'Italia una epidemia chiamata "SPAGNOLA".
"La malattia s'iniziava con una febbre influenzale e poi impegnava i polmoni: in pochi giomi spediva all'altro mondo chi sventuratamente veniva colpito.
"Si diceva che era una malattia sviluppatasi nella Spagna, per cui l'avevano chiamata SPAGNOLA.
Il morbo, che chiamavano pure "peste polmonare" preferiva attaccare il sesso debole e specialmente quelle donne che si trovavano in particolari condizioni, facile a comprendersi.
"Un giorno si era presentato nell'Ufficio comunale, un tale, ed informava il funzionante Sindaco che egli intendeva sposare la fidanzata la quale trovavasi malata gravemente con la Spagnola e quindi lo invitava a recarsi in casa per procedere al matrimonio.
Il caso era previsto dalle disposizioni del Codice Civile allora in vigore (art. 97 e 383 cap. 7) e dal R.D. per l'Ordinamento dello Stato Civile, che stabilivano che il Sindaco quale Ufficiale dello Stato Civile, unitamente al Segretario del Comune, in caso di imminente pericolo di vita di uno degli sposi, potevano trasferirsi nella casa dell'infermo per celebrare il matrimonio.
"Infatti nello stesso giomo e nelle ore pomeridiane, il sig. Angelo Gabriele, quale Assessore funzionante Sindaco ed Ufficiale della Stato Civile, ed io, nella qualita di Segretario, ci eravamo recati nella casa della sposa degente a letto. Ivi alla presenza di quattro testimoni, si era proceduto alIa celebrazione del matrimonio, presente lo sposo e secondo le disposizioni di Legge. L'atto veniva sottoscritto dagli sposi, dai testimoni, dall'Ufficiale dello Stato Civile e da me Segretario. La sposa si trovava in condizioni gravi, tanto che dopo pochi giorni moriva. Io in quel giomo, pur non essendo un fumatore di ruolo, ma a tempo perso, avevo creduto opportuno e per misura precauzionale, di fumare un sigaro tanto per disinfettarmi la bocca e la gola. Non so se sia stata tanta cautela o perché il mio fisico fosse refrattario a quel morbo, restai immunizzato. Durante tutto il periodo epidemico, pur essendomi trovato a contatto con gli infermi, non avevo contratto quella malattia.
"Non fu così per il Sindaco Funzionante sig. Angelo Gabriele il quale si contagiava in malo modo, tanto che fu una grazia per lui a riportare salva la vita.
"Ecco questi erano i fiori che si coglievano e che si possono cogliere sul sentiero tenuto a percorrere da chi adempie scrupolosamente il proprio dovere.
"In quel grigio autunno, mentre i pampini delle viti si arrossivano e le bianche olive si andavano a colorire, tutti i venti spiravano di morte.
"Non vi era giorno in cui non morivano dalle sei alle sette persone ed anche di più in questo Comune. I martelli delle campane dei Tempi sacri, non più facevano udire i loro funebri rintocchi per non allarmare maggiormente la popolazione annichilita. Un silenzio profondo regnava nel centro abitato e nelle campagne. Si penava e si piangeva dentro le mura delle case. La gente atterrita e costretta ad uscire, passava per le vie, guardava e cercava subito di rincasare.
"I morti si e no venivano deposti nelle casse funebri. Mancava il legname per la costruzione delle casse stesse. Vi sono state famiglie che, costrette dalla necessità, avevano dato ai falegnami le tavole dei loro giacigli pur di far costruire le casse per deporvi le spoglie dei loro cari.
"I cadaveri venivano prelevati dai beccamorti in qualunque ora del giomo, ma preferibilmente di sera.
"Stante l'urgenza e non potendo il personale addetto al trasporto assolvere il penoso e lugubre lavoro nelle 24 ore, si faceva depositare e riunire le salme, dove ha principio la via che conduce al cimitero e propriamente sul piano S. Angelo. In quel luogo si collocavano le casse con i morti, l'una sull'altra, e con un carro venivano trasportati a destinazione.
"Per relazione verbale fatta dai becchini, i cadaveri venivano inumati nelle fosse comuni ed a tre e quattro per ogni fossa, l'un cadavere sull'altro in un macabro amplesso specie quando vi era mancanza di casse. In ultimo si copriva di terra la fossa e su questa si buttava e si spandeva la calce viva che disinfettava. Il suolo del cimitero, eccettuato quello occupato dalle tombe private, sembrava coperto da un lenzuolo bianco, era la calce viva. Dalla R. Prefettura era stato inviato un sanitario giovane di età che dirigeva i lavori di igiene e disinfezione.
"Per i lavori della nettezza pubblica dell'abitato e per lo scavo delle fosse nel Cimitero, si requisiva, in virtù di un Decreto Legge, finanche la manodopera con obbligo di eseguire gli ordini. I trasgressori erano passibili di una forte multa e dell'arresto.
"In Serracapriola fece più vittime la "SPAGNOLA" che la guerra. In quegli anni calamitosi i morti ammontarono a 213 nell'anno 1917, circa 33 per broncopolmonite; a 367 nell'anno 1918, circa 2OO per broncopolmonite o Spagnola; a 135 nel 1919, circa 27 per broncopolmonite. Il morbo infierì molto nel 1918 e poscia andò pian piano decrescendo o perché il suo ciclo era finito o perché i provvedimenti profilattici presi con un rigore eccezionale l'avevano debellato."
Tale il terrificante quadro descrittoci da un testimone oculare che per lavorare nella sede municipale era a diretta conoscenza dello stato di collasso in cui viveva la popolazione stremata da restrizioni e malattie.
Per maggiore sventura, nell'anno 1919 si verificava pure un caso di vaiolo con esito letale.
Nell'anno 1920, l'epidemia del vaiolo si sviluppava in modo così violento che fece 76 e più vittime su un totale di 219 morti. Anche nel 1921 vi furono due decessi a causa del vaiolo su un totale di 137 morti.
Il sig. Giacinto Centuori, quale assessore anziano aveva funzionato da Sindaco nel periodo di guerra, durante la cessazione di essa ( Novemb re 1918) nel periodo della spagnuola, ed aveva cessato il 14 aprile 1919.
Ragioni personali e familiari lo avevano fatto decidere a rinunciare a tale carica.