I pastori, pequerère, si nutrivano dei propri prodotti, di pane durissimo, che veniva cotto in grande quantità e doveva durare per parecchi mesi o addirittura per tutto l'inverno. Spesso mangiavano l'acquè-sèle, cioè pane ammorbidito nell'acqua e condito con sale ed olio. "Ru màgnà de ru pecurare: / "pane cuotto e acqua sale. / se ne 'fusse pe' acqua sale e pane cuotto. / ru pecurare fusse muorte" (d.abruzzese)."U mègnè du pequerère: / pène còtt e acquè sèle. / se ne fuss pe acquè sèle e pène còtt / u pequerère fuss mòrt" (d.serrano). Una massima che ancora oggi risuona nell'aria. Molti termini del dialetto abruzzese-molisano. grazie alla pratica della transumanza, sono entrati a far parte del nostro vocabolario, modificati però, nella maggior parte dei casi, nella fonetica della a che nel dialetto serrano si pronuncia è. I pastori si nutrivano anche di un prodotto tipico, muscische, da loro stessi preparato quando per un motivo qualsiasi moriva una pecora. La carcassa dell'animale veniva spellata, dissossata, salata ed essiccata all'aria aperta. Quando la carne era pronta, muscische, veniva tagliata a strisce e conservata. I pastori, però, potevano disporre di questo alimento soltanto con il permesso del proprietario del gregge e del massaro, i quali provvedevano alla distribuzione.
Essi dormivano all'aperto insieme al bestiame e quando veniva la notte dicevano in dialetto abruzzese "Mò me facciu lu jacciu". Aprivano allora il fagotto, si avvolgevano nel mantello o in una coperta e si mettevano a dormire per terra. Nelle zone collinari, come la nostra erano frequenti le dimore temporanee dei pastori, riconoscibili per la presenza dell'ampio "scariazzo", schèrèjazz, recintato da muri o da presenze di canne, per ospitare le pecore. Questa dimora, di solito bicellulare perché comprendeva anche l'abitazione dei pastori dove lavoravano il latte, era costituita da una o più costruzioni allungate con tre lati chiusi ed il quarto, esposto a sud, aperto a porticato con davanti ampi spiazzi recintati da muretti o canne chiamati mandroni. Spesso però tali dimore si riducevano a semplici ricoveri formati da rozze tettoie sostenuti da muratura su un lato e da pilastri di pietrame sull'altro dove i pastori dormivano e lavoravano il latte.
Il pastore-capo, massaro, con portamento patriarcale e in genere tutti gli altri pastori indossavano il pelliccione: un lungo giaccone di vello di montone o di capra, senza maniche, legato con crioli, crejule, stringhe di pelle. Il guardèmacchie, ricavato da velli di ovini riparava le cosce dalle intemperie e dal fango. mentre i strèngunére coprivano le gambe fin sopra il piede. Il cappello di feltro nero a larghe falde copriva il capo. L'immancabile lungo bastone e il tascapane, una sacca di tela dura e resistente, portata a tracolla completava l'abbigliamento del pastore transumante.