Il grano, conservato nei magazzini, nelle "fussétte" e dentro i "ncannecammere'', serviva sia per la semina che per il fabbisogno della famiglia.
 Il ceto meno abbiente e le poche famiglie che vivevano in campagna molivano il grano in casa con una piccola macina di pietra, formata da una mola superiore cilindrica, che, forata al centro per far scorrere il grano e poggiata ad incastro su una fissa, veniva azionata da una manovella.
 Basate sempre sullo stesso principio c'erano macine più grandi usate da famiglie numerose che funzionavano così:
 La macina rotante superiore veniva azionata da un asinello che girava in cerchio, legato ad una stanga fissata ad un'apposita sporgenza della macina. Il grano attraverso una tramoggia di legno, soprastante, scorreva in un foro praticato nella mola. La farina che si raccoglieva nel vano ricavato sotto le macine, veniva tirata fuori, dopo aver aperto lo sportello, per mezzo di un raschiatoio di legno e di una scopetta. Prima della molitura il frumento veniva vagliato (gghjerète) con il crivello (cruvèlle) per pulirlo dalla veccia (vècce) e da altre impurità; poi veniva bagnato e il giorno dopo messo nel sacco se doveva essere portato al mulino.
 
 Il mugnaio
 In località "Maddalena", sul ciglio di una scarpata, c'è un rudere imponente che documenta l'esistenza di un mulino ad acqua, forse l'unico che operava nell'agro di Serracapriola, (tutti gli altri mulini erano a trazione animale) la cui macina rotante riceveva il movimento da una ruota a palette orizzontali che a sua volta era mossa da un corso d' acqua tuttora esistente.
 La ruota idraulica, inventata nel periodo ellenistico, era già conosciuta dai cinesi prima che fosse riinventata in Occidente.
 Nel nostro paese il mulino ad acqua non si diffuse per carenza di corsi d'acqua. C' erano invece molti mulini che avevano le macine mosse dai cavalli. Ne ricordiamo alcuni proprietari: i fratelli Centuori, Angelo Giuliani, Daniele Giacci, Giuseppe Torres.
 Col passare del tempo alcuni di questi mulini funzionavano a gas, poi con l'avvento dell'energia elettrica vennero tutti modificati e nel frattempo il mulino di Daniele passò ad Alessio Ciacci, quello di Giuliani ad Ettore Cavalli, ereditato poi dai figli Enrico e Giovanni che lo gestirono insieme per parecchi anni.
  Prendiamo in considerazione il mulino di Enrico Cavalli, perché è stato l'unico a restare in attività fino al 1989 quando è stato smantellato.
 "Il frumento veniva introdotto in una tramoggia e per caduta andava a finire nel vano che conteneva le macine: una fissa e una rotante che riceveva il movimento per mezzo di un motore azionato dall'energia elettrica e da un sistema di pulegge.
 Ogni settimana le macine di pietra, che avevano delle scanalature a raggiera per permettere al grano frantumato di uscire fuori, venivano smontate e martellate con una speciale picozza.
 Poi queste mole, che da secoli avevano caratterizzato il "mulino", sono state sostituite da un frangitore elettrico. Infine è stato installato "il pulitore", che serviva a pulire il grano prima della molitura".
 Così Enrico, l'ultimo mugnaio del posto, conclude la sua descrizione con gli occhi lucidi e un nodo alla gola per la commozione.
 I mulini moderni a cilindri sono tecnicamente più perfezionati.
 Infatti il grano macinato dal frangitore attraverso un nastro trasportatore raggiunge il "buratto", costituito da tre filtri, dove avviene la divisione del macinato e cioè farina (tipo fiore), tritello, crusca (chènigghje).
 Dai mulini nostrani invece veniva fuori un'unica farina integrale, toccava poi alla massaia separare la crusca dalla farina con il setaccio.
 Ahime! Oggi se l'agricoltore serrano vuole macinare i suoi prodotti deve recarsi a S. Croce di Magliano o a Nuova Cliternia dove si trovano i più vicini mulini che resistono ancora allo sradicamento prodotto dalla cosiddetta "civiltà industriale".