Nel periodo della mietitura c'era bisogno di molta manodopera per cui
oltre i mietitori locali (fra essi ricordiamo Vallillo Gabriele e Ferrero
Baldassarre) ne arrivavano tanti altri dalla provincia di Bari e da Orsogna
(mèrenise e ursegnìse) che lasciavano
le loro famiglie dall'inizio di giugno per farvi ritorno dopo due o tre
mesi. Alcuni camminavano scalzi e quei pochi che possedevano le scarpe le
portavano sulle spalle anziché ai piedi insieme a due falci e alla
bisaccia (vùsàzze). Le falci (i fàvece)
'da grano' erano di due tipi: una lunga a lama stretta con la punta incurvata
verso l'alto, l'altra usata dai "mèrenise"
era più piccola e col manico sagomato anatomicamente. Tutti i mietitori
usavano falci dentate che venivano affilate (èrrutète)
con una lima triangolare oppure i dentelli venivano battuti a mano dal fabbro
del paese con uno scalpello d'acciaio.
La sera i braccianti migranti dormivano all'addiaccio sui marciapiedi
del Borgo orientale e occidentale (dove oggi nei mesi estivi si vedono parcheggiate,
quando non sfilano "in passerella" lungo il circuito di Corso
Garibaldi, miriadi di automobili) con la bisaccia per cuscino.
Sul campo il mietitore indossava un grembiule (a vèndere)
di pelle di agnello o di tela resistente. Per proteggersi la mano sinistra
s'infilava alle dita dei corti pezzi di canna (i chènnèlle)
invece un cappuccio di cuoio (chèppèllètte)
copriva l'indice, in testa portava una paglietta a larghe tese, in cui metteva
delle foglie o un fazzoletto inumidito.
Non era isolato ma faceva parte di un gruppetto autonomo (a pèranze)
di contadini che dovevano essere in grado di mietere mentre lagava i mannelli
"u legande" per farne poi dei covoni (i mènocchie).
Il più abile del gruppo (èntenére)
portava il ritmo del lavoro. Per il trasposto dei covoni venivano utilizzati
due cestoni rudimentali "i cunnele" (altri contenitori
erano "i spertune" usati per il trasporto di prodotti
diversi) che si agganciavano ai lati del basto (u mmàste)
sul dorso dell'asino, oppure "u chèrrettone",
un grosso carro con le sponde molto alte.
Su uno spiazzo vicino alla casetta di campagna o alla masseria (è
mèzze l'arje) si cominciava a trebbiare (treschè):
I contadini facevano girare sui covoni ammucchiati sull'aia i cavalli a
trotto che calpestando le spighe ne facevano uscire i chicchi. Poi si ventilava
con le pale di legno e con grossi crivelli per separare il grano dalla pula.
Il frumento si conservava in un cestone fatto di una stuoia intrecciata
con strisce di canna arrotolata in maniera da formare un cilindro alto fino
a tre metri (u' ncannècammere) oppure in una fossa
ricavata nell'intercapedine tra il soffitto di un piano inferiore e il pavimento
di quello superiore della casa (a fussètte).
La meccanizzazione.
La mietitura a mano e la trebbiatura con gli animali, chiamate da qualcuno
"a sangue", è ormai un ricordo.
La meccanizzazione ha cancellato in pochi decenni usanze che avevano
radici secolari.
Le mietitrici trainate dai cavalli e le trebbie (locomobile) di Gaetano
Moscariello, Antonio Mascolo, Ernesto Silvestris, Mario Gatta e Guerino
de Girolamo (che ha costruito attualmente un perfetto modellino di trebbia),
lavoravano nelle aziende più grosse dell'agro serrano. Poi le trebbie
hanno ceduto il passo alle mietitrebbie, che nel nostro paese svolgono il
lavoro di trebbiatura in quindici giorni circa. Alcune mietitrebbie sono
addirittura telecomandate e nel prossimo futuro si potrà vedere qualcuna
anche da noi ed il contadino, seduto ai limiti del campo necessariamente
con la "paglietta a larghe tese", poiché purtroppo, non
ci sono più alberi che danno ombra, con un semplice telecomando guidare
questa macchina che riesce contemporaneamente a falciare, trebbiare, imballare
la paglia, quintalare il grano e racchiuderlo in sacchi.
Fino a pochi anni fa i commercianti privati e il Consorzio Agrario erano
centri di ammasso volontario di grano duro. Poi molti agricoltori hanno
deciso di riunirsi in cooperative per gestire e valorizzare direttamente
i loro prodotti. Sono sorte così le cooperative COPAS, ADRIATICA,
FRENTANA. Quest'ultima risulta la più grossa ed efficiente, nata
nel 1956 ha incrementato sempre più l'attività fino ad arrivare
quest'anno a produrre circa 100.000 quintali di grano duro. La Frentana
si è provvista di dieci silos metallici per la conservazione del
grano in località "Tre Monti" su un piazzale di due ettari,
in più di un capannone in muratura per semi e concimi. Questo sviluppo
si è avuto grazie all'oculatezza dei dirigenti e sopratutto al maturo
senso associativo dei soci della cooperativa stessa.
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