La terracotta (dal n.5-6 anno II de "La Portella")
Geologia del territorio
"I terreni del nostro agro sono diversissimi fra di loro per
natura e proprietà fisico-chimiche, si da costituire una scala che
dalle sabbie incoerenti delle dune litoranee va alle argille schiette assai
tenaci (crete) usate per la fabbricazione di mattoni e stoviglie" (de
Luca - 1915 -). Originatisi nel Pliocene e derivanti da un substrato denominato
"Sabbie di Serracapriola", le crete di questi terreni sabbiosi-argillosi
analizzate da qualificati geologi sono risultate abbondanti e di ottima
qualità, sfruttate fino aI 1987 dai vasai locali. Nel 1958 l'amministrazione
P. Magnocavallo ha indicate queste argille adatte per la produzione di refrattari,
ceramiche artistiche e industriali ed ha tentato con risultati deludenti
di fondare una scuola di ceramica dopo aver interpellato il pittore-ceramista
serrano G. Scoppitti. Dopo nessun altro tentativo.
I vasai
La lavorazione della creta da noi nacque quando l'uomo preistorico si
accorse che il fango d'argilla impastato essiccandosi al sole diventava
duro come la pietra. Seguendo il cavo della mano modellò quel fango
e creò la prima ciotola per per attingere l'acqua. Le prime decorazioni
derivairono da unghiate impresse. Nel paleolitico con la scoperta del fuoco
creò oggetti di terra atti alla cottura per cuocere il cibo. Poi
l'invenzione della ruota portò all'uso del tornio. E da allora la
storia della ceramica ha continuato il suo cammino. Il nostro sottosuolo
è ricchissimo di reperti vascolari di varie epoche. AIcuni vasi rinvenuti
anni orsono fanno bella mostra al museo di Taratnto. È facile immaginare
quanti vasai abilissimi operarono in quelle epoche remote. A Serracapriola
nell'anno 1854 su 5.089 abitanti c'erano 4 vasai (figulini).
Dal 1951 circa su 8462 abitanti 5 famiglie di vasai con 5 fornaci si tramandarono
il mestiere (Adesso Fortunato, Corrado Marco e Venturino,
di Corrado Ciccillo e Ubaldo, Mastrangelo Filippo e
Michele, De Renzis Luigi). Nel 1981 su 5700 abitanti lavoravano
ancora di Corrado Ubaldo e Mastrangelo Michele. La storia
della ceramica nel nostro paese si è fermata quando nel 1987 l'ultimo
vasaio in attività M. Michele ha smesso di lavorare.
Resta il ricordo impresso su una pellicola super 8 mm. b./n. Nella primavera
del 1962 il documentario sul lavoro "di peègnètére
e mètunère serrène" "L'arte dei vasai",
realizzato dal fotografo Giovanni Tartaglia, da Pasquale Jesu e da Nicola
Palazzo, vinse il secondo premio al Festival della decima Musa di Venezia
per la migliore fotografia.
Ogni vasaio è un creatore originale di forme che, anche se somigliano
fra loro, dando il carattere unitario a questa ceramica, ognuna ha il suo
stile, la sua impronta.
Si restava incantati davanti al compianto Ubaldo che tirava fuori da
una palla di argilla le varie forme di vasellame. È un lavoro che
affascina a vedersi. A farsi, al contrario, è durissimo: ore ed ore
piegato sul tornio. col piede in movimento a fare girare la ruota nel fosso,
con le mani sempre in acqua, a contatto con la creta serrana che le sue
dita nervose modellavano in un'infinita creatività di forme. Ma prima
di questa fase c'era stata l'opera dei "lavoranti"
(apprendisti) che avevano manualmente e a piedi scalzi polverizzata, mescolata
all'acqua e depurata l'argilla. In seguito questo lavoro veniva fatto da
rudimentali macchine adattate all'uopo dal vasaio stesso restato solo. Gli
oggetti torniti venivano essiccati al sole, poi subivano il bagno nel caolino.
Si passava alla seconda essiccazione al sole e poi al primo fuoco da cui
usciva il cosiddetto "biscotto" su cui veniva data
la verniciatura (u mprètene). La base della verniciatura
veniva data col minio (ossido di piombo). Per ottenere i colori e le rispettive
tonalità si aggiungeva nelle varie proporzioni all'ossido di piombo
la limatura di ferroo di rame; le pietre focaie polverizzate, con il relativo
additivo davano la lucidatura.
L'oggetto così finito e verniciato veniva infornato per la seconda
volta nella rudimentale fornace dove il nostro Ubaldo sistemava con abilità
i pezzi che dovevano essere affidati al fuoco in modo uniforme per non
rompersi. Il prodotto finito (donato dai tre elementi primigenii, terra,
acqua e fuoco), caricato sul camioncino che prima aveva trasportato la creta
dalla cava, poi le fascine e la paglia, veniva portato dallo stesso vasaio
alle fiere, dove fra gIi acquirenti c'era chi utiIizzava sul momento "a
pegnètèlle", per comprare la "schèpece".
I vasi
Nel foggiano Torremaggiore e Serracapriola erano i centri di maggiore
produzione di terracotta. "Nelle case dei contadini qualche tavolo,
quasi mai sedie, sostituite dalle 'prèvele'; utensili di rame sconosciuti,
anche le caldaie erano di creta" (de Luca - 1915). La produzione
dei vasi da noi nacque dalla nuda esigenza del bisogno pratico, strettamente-legato
al lavoro contadino e all'economia domestica che ne derivava. Bisognava
conservare il più a lungo possibile i prodotti della terra (vino,
olio, olive, ortaggi, frutta) in vista di annate magre e lunghe carestie.
Nacquero così i grandi contenitori rustici "zzirre e sèrole"
per contenere olio, vino, aceto e acqua; le stoviglie "tièlle
e chèvedère", le suppellettili per la casa: boccali,
vasi. giare, piatti, alzate. "vuchèle, ràste, |