Il carradore (dal n.4 anno IV e dal n.5 anno IV de "La Portella")
La ruota apparve in Mesopotamia fra il 3500 e il 3000 a.C.; con essa
nacque il carro e chi lo costruiva: il carradore. I primi carri erano a
quattro ruote piene, con il tiro a pariglia mediante un timone centrale.
Soltanto all'inizio della nostra era cominciarono ad essere costruiti i
carri a due stanghe. Il carro agricolo, a seconda della morfologia geografica
del territorio e della destinazione utilitaria, presentava caratteri strutturali
e decorativi particolari. Il carro sardo a ruote piene, il più arcaico:
quello siciliano, decoratissimo, il più artistico e leggero. Così
i carri della Italia settentrionale erano in genere a quattro ruote a raggiera,
trainati da buoi; quelli dell'Italia centro meridionale più spesso
a due ruote e trainati da cavalli. Pochi carri agricoli a quattro ruote
con timone centrale, chjènèle, si trovavano
a Tronco e in contrada Grotte. Esemplari, documentati da foto d'epoca, rari
nell'agro di Serracapriola; perché da noi erano diffusi carretti
a due stanghe con coppia di ruote a raggiera. Diversi da quelli marchigiani,
bassi, tozzi, pesanti, spesso decorati con figure di santi, i nostri trèine
erano altissimi, snelli ma solidi, con i fianchi e i raggi delle grandi
ruote dipinti appena di rosso o celeste, con la targa regolamentare di
rame, dove era inciso il nome del proprietario, il comune di residenza
e il numero di matricola del mezzo. Questi enormi carri trainati da cavalli
o forti muli erano i tir della nostra civiltà contadina.
Essi venivano costruiti e riparati dal carradore o carpentiere chèrpentiére
(oggi con questo nome si indica l'artigiano edile). Carpentarium,
dal latino tardo, significa costruttore del carro,il carpentum, leggero
e adibito al trasporto di persone. Un'antica immagine di questo artigiano
del legno e del ferro, che sta sgrossando una stanga nei pressi
della sua bottega lungo il Borgo, è documentatada una foto del 1880.
Per costruire un mezzo agricolo si cominciava dalle stanghe di faggio o
rubino, poi si realizzava il telaio con sotto stanghe e traverse a colpi
precisi di scalpello per gl'incastri, ma l'abilità del maestro d'ascia
mésted'àsce si manifestava nella manifattura
dei pezzi ricurvi. Questi, in legno di cerro, componevano la ruota: la corona
divisa in settori jànde, uniti a incastro, e i raggi,
venivano modellati con l'antica ascia, mentre il mozzo tèste
veniva tornito e poi bucato al centro con un'enorme sgorbia gùbbiòne.
Si torniva anche il barilotto del freno vèrelòtt da
mèrtelline con un tornio a pedale in ferro e legno. I resti
esistenti di questo attrezzo, appartenuto al carpentiere Angelo Giacci,
ci dimostrano l'abilità tecnica di questi artigiani nel costruirsi
anche gli attrezzi di lavoro. Intanto il fabbro consegnava i cerchioni in
ferro, che dovevano essere inseriti a caldo all'esterno delle ruote per
darle consistenza e durata. Il ferro veniva poggialo su legnetti, che bruciando,
arroventavano il metallo facendolo dilatare uniformemente. Opportunamente
s'inseriva la ruota. Ormai cerchiata veniva, con barattoli mùseréll
pieni d'acqua, bagnata rapidamente in tutti i punti. Il ferro così
temprato combaciava perfettamente con il legno formando un corpo unico,
cuore del carretto, che gli dava lunga vita. Per completare le due ruote
si sistemavano le boccole di bronzo che rivestivano l'interno dei
mozzi, dove s'infilava l'asse. Due fermi in ferro lòzz
non facevano fuoriuscire le ruote dall'asse. Altri elementi in ferro, oltre
ai vari perni, erano gli anelli chètenèll e
la pedrella stèffone. Il gioco delle boccole
era il rumore che caratlerizzava la marcia dei carretti. Il loro pregio
dipendeva da questo suono armonioso per l'udito del costruttore e dell'acquirente
interessato. Le due prove di collaudo alla fine della costruzione riguardavano
il legno impiegato e il tono delle boccole.
Così operavano i fratelli Giacci, Cosimo de Fronzo,Vincenzo
Giannubilo, Vincenzo D'Orio, i fratelli DeVito, Alessandro Giacci
mèstEchill, Mimì Marolla, Giuseppe Marolla, Alessandro Pucarelli,
Fortunato Padovano, Vincenzo Cardascia, Tonino Fatticcio e altri.
Oltre al trèine, pesante carro agricolo con
cui il contadino, o chi faceva il trasportatore per mestiere trèinere,
trasportava le merci nell'ambito o al di fuori dell'agro comunale fòre
tèrr, i chèrpentiére costruivano
altri veicoli per lo stesso uso. Un carrettino trèinèll
senza sponde con ruote piccole che veniva trainato a braccia oppure dall'asino.
Il più grosso carro in assoluto chèrrettòne
con sponde altissime, in uso per il trasporto di covoni, paglia o altra
merce voluminosa. La carriola chèrriòle, piccolo
mezzo a una ruota che di solito usava il muratore. U scèrèbàll
(dal francese char à bancs), carro agricolo leggero per il
trasporto promiscuo di persone e cose, era ammortizzato da balestre e aveva
i parafanghi pèvere. Infine, con estrema cura e rifinitura,
i carradori mettevano a punto il coupé per due o al massimo
tre persone, l'agile calesse chinghe con o senza copertura
a mantice, munito di sedile a spalliera imbottito.
L'ingresso della macchina nella vita di tutti in questo secolo ha fatto
scomparire gli animali da tiro, i carretti e il mestiere di carradore. L'officina
di riparazione ha preso il posto che per secoli è stato del maniscalco,
così come il camion ha sostituito il carro e il trattore il cavaIIo.
L'antico contadino, che si serviva dal carradore e dal maniscalco, ha ceduto
il passo all'agricoltore meccanizzato, bisognoso del carrozziere, del meccanico
e del gommista: ultimi anelli di una catena industriale che viene da lontano,
coinvolgendo tutti.
......"Un umanista cultore di storia quasi rifiuta di chiamare
uomo colui che non coltiva la sua memoria.... Non si tratta di pretendere
un inverosimile ritorno al passato, ne rimpiangerlo. Si tratta di prendere
atto che ogni persona costituisce di fatto un archivio prezioso e
insostituibile di dati culturali che sono la sedimentazione della sua irripetibile
esperienza di vita..... "L'industrializzazione con le sue lunghe catene
operative richiede più ordine imposto, per cui l'uomo liberandosi
con le sue tecniche innovative dalla natura si rende prigioniero della sua
stessa libertà..." (R.Cresswell)
Ad una varietà di legni (faggio, cerro, ramino, pino, abete,
quercia, olmo) si aggiungeva il ferro per costruire il carro. Mentre altrove il carradore lavorava anche
le parti in metallo, da noi glieli forniva il fabbro. Le boccole delle ruote
erano in bronzo o in ghisa, il ferro veniva impiegato per i cerchioni, cerchi,
cerchietti, campane, per gli assali, per le caviglie, grappe, perni, anelli,
catene, fermi, tiranti e per le pedrelline.
Tonino Fatticcio, l'ultimo dei carradori, che chiuse bottega
nel 1967, ci descrive, con l'enfasi di chi continua nella memoria ad amare
il proprio lavoro, le parti del nostro carro agricolo trèine.
Il pianale o letto lettére era composto da:
- due sdanghe con due sottosdanghe più corte;
- un bilancino velèncine, con due caviglie chèrtocce
e anelli chètenèll annessi, due tiranti, una
barretta snodata ciucce, e con una traversa fissata sulle
sdanghe;
- una pedrellina stèffone;
- due barre disposte a crociera;
- una grossa traversa ricavata da una trave, attraversata dall'asse e
fissata con due grappe casce d'asse;
- un barilotto della martinicca (freno) vèrelott da mèrtelline,
formato dal bracciolo, da una piccola carrucola rucelétt
e da due caviglie rotonde chèrtocce;
- un'altra traversa;
- un'ultima traversa, assicurata da due grappe, con due pattini pièttine,
molla e catene;
- tre tavole, che coprivano questa consistente intelaiatura, completavano
il pianale.
Le due sponde pòrte
- Ogni sponda, formata da due tavole tenute insieme da sei pioli fuselére,
di cui quattro centrali più alti collegati ad una traversa, era incastrata
nelle sei grappe fissate al lato esterno della sdanga. Due traverse strèttore,
di cui una più larga per sedersi, univano le due sponde davanti e
dietro.
Le due ruote ròte
Ogni ruota era composta:
- dal mozzo tèste, con un cerchio, due cerchietti,
un altro cerchio di forma tronco-conica campana, due boccole
smoje con due nèsill;
- da sei settori di corona jande;
- dodici raggi e un cerchione.
Sui mozzi, fissati alle sdanghe, c'erano due piccoli parafanghi pèrètèrr.
Tutti questi pezzi venivano assemblati a incastri con perni, per dare
il gioco necessario al carretto di sopportare gli strappi dei cavalli da
tiro, il carico e le strade dissestate. Ecco perché non si usava
la colla che avrebbe reso rigido l'assemblaggio.
I trèine erano di varie grandezze: 12, 14, 16, 18
palmi. Il palmo corrispondeva a circa 27 centimetri.
Il museo-laboratorio
Il complesso degli strumenti, dei residui vecchi mezzi di trasporto o
delle loro parti staccate, ha oggi un incalcolabile valore etnografico per
il nostro paese. Se esso fosse conservato e ampiamente descritto con tante
fotografie se ne gioverebbero la SCUOLA, lo studio del dialetto,
della nostra cultura tradizionale, la storia della tecnologia, e
la stessa storia economica di Serracapriola. Accanto ai ricercatori e conoscitori
di pezzi dovrebbero collaborare i ricercatori di scene di costume e di folklore
da immortalare con le tecniche audiovisive (vedi raccolte Ciarallo-Jesù
-Tartaglia). Per completare il museo l'ideale (bisogna sempre tendere all'ideale!)
è di inserire un laboratorio di modellismo. Il modellino è
il prodotto di un artigianato sui generis di gratificazione personale, inizialmente
privo di un proprio mercato. Ma se venisse inserito su larga scala in un
contesto organizzato quale è un museo, potrebbe avere un valore didattico
e di souvenir per il visitatore. Oggetto di autentico artigianato, il pregio
del pezzo in scala è in rapporto alla fedeltà con cui si avvicina
all'originale per i materiali usati e per l'esecuzione del lavoro. Un esempio
concreto ce l'ha dato Antonio Orlando con i suoi modellini di aratri.
La scuola media "Mazzini" ha installato un attrezzato laboratorio
di ceramica diretto dal prof. Orazio Terlizzi. Quindi segnali di
buona volontà ce ne sono. Dobbiamo soltanto imparare a lavorare insieme
per coordinare le attività con l'ausilio dei nostri bravi artigiani:
il vasaio, il fabbro, il falegname, il carradore u chèrpentiére.
Ci piace così immaginare un perfetto modellino de trèine
per rivivere la storia di questo mestiere scomparso.
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