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  I barbieri (dal n.4 anno VI de "La Portella")

a cura di Giuseppe Gentile    

 Di solito i genitori mandavano i figli più gracili e delicati, non idonei a sopportare le fatiche di mestieri più pesanti, ad apprendere il mestiere di barbiere. L'apprendistato era quello di osservare u màstre mentre lavorava, di porgergli i vari attrezzi: forbici, pettine, tosatrice, spruzzatore, la bacinella incavata sull'orlo, il pennello, il rasoio ben affilato prima sulla pietra e poi sulla coramella, strapp, che pendeva in un angolo del Salone. Così gli apprendisti, come prima prova, imparavano ad insaponare, finché essi stessi diventavano màstre.
 Seguendo la più antica tradizione, i primi barbieri sconfinavano dal loro mestiere e s'improvvisavano cavadenti e flebotomi. Vincenzo De Simone nel suo salone, al n.2 di Piazza Vittorio Emanuele III, con aghi e ferretti arroventati curava carie e ascessi. Disinfettava le piccole ferite con la tintura di iodio, quelle lacero- contuse con aceto bollente e sale da cucina. Praticava salassi applicando sanguisughe ai clienti ammalati. Preparava unguenti per spurgare i foruncoli e per curare le dermatiti.
 Per chiarire la funzione del negozio da barbiere bisogna rifarsi all'epoca in cui non esistevano né rasoi di sicurezza, né i radi e getta, né tanto meno i rasoi elettrici e la grande maggioranza dei serrani aveva i baffi, molto spesso uniti a una barba più o meno fluente. Era evidente quindi la necessità del barbiere. E se per i ceti più abbienti era consuetudine farsi servire in casa, commercianti, artigiani e contadini frequentavano i saloni di Brancaccio Vittorio, Ciarallo Umberto, Marolla Francesco, Partenope Ostilio, Oronzo Giuseppe, Guerino BaIice, Candini Giuseppe, Ruberto Antonio, Pucarelli Gino (in pensione dal 31/12/1998) e di tanti altri, che diventavano dei veri centri di contatto sociale. I clienti, in attesa di farsi radere (incombenza frequente che avveniva più volte alla settimana), facevano salotto, contribuendo a ravvivare il già nutrito notiziario sulla vita del paese.
 Questi maestri della cosmesi maschile donavano alla fine di ogni anno a tutti i clienti un profumatissimo e frivolo calendarietto a colori, dove le figure femminili seminude erano prevalenti. Essi, infatti, intascando la mancia, consegnavano sorridendo con misteriosa complicità l'omaggio, che trovava ospitalità nei portafogli di compiaciuti signori borghesi. La presenza delle "donnine" era una costante nella produzione dei calendarietti da barbiere, a volte troppo "audaci" in rapporto alla morale dell'epoca.
 Alcuni barbieri, appassionati di musica (il mestiere leggero, oltre ad essere intrigante, permetteva di far sviluppare doti artistiche nascoste), quando c'era la possibilità, trasformavano i loro negozi in centri di ascolto di musica dal vivo. Fortunato D'Alesio, Nètucc Pètèline, suonava mirabilmente il mandolino mentre l'inseparahile Cerri, Sèntucc, lo accompagnava con la chitarra. Luigi Tronco, Giggine Schèscign, solista di trombone da canto e bomhardino, nonché provetto maestro di musica lirica, fondò un complesso bandistico di 32 elementi nell'anno 1944. Guido Petti al sassofono e Antonio D'Amicis, Pelill, alla tromba, invece, facevano parte della locale orchestrina Scintilla.
 Per le donne era "sacrilegio" il taglio dei capelli. Anzi più ne avevano e più ne volevano. I lunghissimi capelli corvini avevano bisogno di essere curati e pettinati spesso. Il personaggio addetto a questo compito era la pettinatrice, chépellére, che andava a servire le clienti a domicilio. Nell'attesa, mentre i calmistri, chèstagne, si scaldavano sulla carbonella, le donne si disponevano sui ballatoi, vegnèle, mettendo in mostra la qualità e la lunghezza delle chiome che dovevano arrivare all'altezza del ginocchio. Con l'opera della pettinatrice, prendevano man mano forma le lunghe trecce, i boccoli fatti con le arricciatrici calde, e le complicate costruzioni, i tupp, tenute insieme dai pettini. L'odore nauseante dei capelli bruciati si univa alle confidenze e alle intimità inconfessabili, tutte femminiIi.
 Intanto cominciava a diffondersi la lametta da barba, inventata da King Campbell Gillette, ideatore anche del rasoio di sicurezza, che rivoluzionò il costume dando la possibilità ad ogni uomo di radersi facilmente in casa propria. Una necessità determinata da una vita che diventa sempre più frenetica per via della meccanizzazione. Per cui l'attesa per radersi dal parrucchiere è un privilegio per i pochi (ancor più per la diffusione dei radi e getta e del rasoio elettrico), che esigono un servizio perfetto, fatto di delicatezza e professionalità.
 Oggi la bizzarra moda unisex (taglio o doppio taglio di capelli lunghi o cortissimi, codini, teste maschili e femminili spinose o rapate, capelli lucidi di gel o tinti a più colori) e il ritorno dei baffi, delle barbe fluenti, dei pizzetti appena accennati, rendono sempre movimentati i negozi dei parrucchieri sia per uomo di Balice Luigi, Balice Domenico, Guidone Michele, Orlando Dino, Silvestris Giancarlo, Siricola Giuseppe, Sozio Casimiro, che per donna di Carnevale Stefania, Cerri Milena, D'Errico Fabrizio, Ferrero Amelia, Giannubilo Maria Concetta, Petti Guido. Chissà, forse un domani i negozi dei parrucchieri diventeranno unisex, specie se alle donne continuerà a piacere essere rapate, e in più poter avere barba e baffi con una cura di ormoni. Ma...., dove c'è gusto non c'e perdenza; anzi, c'è qualcosa in più per avvicinarsi alla parità.